Disoccupazione giovanile. Mons. Miglio: problema pastorale oltre che sociale, vincere
rassegnazione
Mai così tanti giovani senza lavoro. In Italia la disoccupazione giovanile ha toccato
il 41,6% in aumento di 0,2 punti rispetto a ottobre e di quattro punti da novembre.
Si tratta - rileva l'Istat - del dato peggiore dal 1977. Tra novembre 2007 e novembre
2013 gli occupati sono diminuiti di 1 milione e centomila unità mentre i disoccupati
sono più che raddoppiati, ora superano i 3 milioni. Dei senza lavoro, due su tre sono
uomini. Su questi dati, Luca Collodi ha intervistato mons. Arrigo Miglio,
arcivescovo di Cagliari, presidente del Comitato organizzatore delle Settimane Sociali
dei cattolici italiani:
R. - Questo
numero è impressionate: 41,6%! In una regione come la Sardegna, purtroppo, questi
numeri sono ancora più alti e paradossalmente rischiamo di assuefarci a questi dati,
a questi numeri finché non incontriamo concretamente delle persone. Anche coloro che
sono chiamati a promuovere e a creare posti di lavoro, credo che abbiano bisogno di
incontrare di più situazioni concrete. Dietro ai numeri ci sono situazioni concrete,
veramente drammatiche! Non passa settimana che non ci sia anche - purtroppo! - qualche
suicidio legato a queste situazioni.
D. - Sono dati, questi dell’Istat, che
ci danno l’idea di come l’onda lunga della crisi continui a distruggere posti di lavoro
più che a crearli, ma una crisi che persiste nonostante le rassicurazioni del mondo
politico?
R. - Sì. Qualche osservazione credo che sia utile. La prima è che
questa visione della crisi è globale e questo dovrebbe mettere il nostro Paese, la
nostra società in un atteggiamento di maggiore impegno per non illudersi di poter
tornare, almeno in tempi rapidi, a situazioni di benessere come quelle che abbiamo
avuto fino a qualche anno fa. Una seconda considerazione: per fare un discorso di
questo genere è importante uno stile di essenzialità e di sobrietà. E una terza considerazione
è sul danno culturale e antropologico che questa diminuzione dei posti di lavoro comporta.
C’è sì il danno economico - e quello è il più evidente e quello di cui tutti parlano
- ma c’è un danno culturale e antropologico! Viene meno questa dimensione essenziale
per la vita. E’ quello che il Papa ci diceva a Cagliari: questa dimensione essenziale,
per una vita dignitosa, del lavoro, del lavoro inteso come creatività, come espressione
delle proprie capacità. Tornando alla mia regione, la Sardegna, abbiamo ormai due
generazioni di persone adulte e qualcuna anche super-adulta che non hanno mai avuto
un lavoro stabile, fisso. Questo è un danno enorme! E’ un po’ come la crisi demografica:
gli effetti sono a lungo termine. Dobbiamo guardare avanti e dobbiamo cominciare a
renderci conto del danno.
D. - La Chiesa come può sostenere questo processo
di rilancio dell’occupazione, soprattutto giovanile in Italia?
R. - Vorrei
dire che per la Chiesa questo non è solo un problema sociale: è un problema anche
pastorale. La Chiesa che cosa può fare? Intanto sul campo concreto penso, ad esempio,
ai tanti che sono impegnati nella promozione di esperienze cooperativistiche: penso
al "Progetto Policoro", ma anche ad altre esperienze. Uno dei compiti nostri dovrebbe
proprio essere quello di mettere in evidenza gli esempi virtuosi, per far capire anche
ad altri che è possibile, che si può reagire, e vincere la rassegnazione. Questo credo
che sia uno dei nostri compiti: far circolare le informazioni utili, far incontrare
e favorire anche l’incontro tra i giovani - molti dei quali hanno progetti, hanno
fantasia, hanno creatività - e le istituzioni, le persone che possono concretamente
sbloccare le pastoie burocratiche: quelle pratiche che attendono visti e nullaosta,
che giacciono per settimane, mesi. Questo non è possibile, quando di fronte ci sono
possibilità concrete di avviare dei posti di lavoro!