Cresce l'esercito dei baby kamikaze, fenomeno figlio della povertà da combattere con
l'educazione
Cresce l’esercito di "baby-kamikaze", come ci racconta la recente storia della bimba
afghana di 10 anni arrestata, nella provincia di Helmand, poco prima di farsi esplodere:
era stata convinta a farsi saltare dal fratello, un capo talebano. Come lei, sono
molti i bambini utilizzati in questo orribile modo in diversi Paesi, come l’Afghanistan
o l’Iraq. Bambini vittime del fondamentalismo, ma non solo, come spiega al microfono
di Francesca Sabatinelli, Simona Lanzoni, di Fondazione Pangea onlus,
da anni attiva in Afghanistan:
R. - Il filo
rosso che unisce non sono solo la guerra o le rivendicazioni dei popoli, ma sono soprattutto
la povertà e la mancanza di educazione in cui si trovano le popolazioni. Molto spesso
i bambini vengono affidati a scuole, soprattutto religiose - le madrase - dove
viene loro fatto, in un certo senso, il lavaggio del cervello, viene loro insegnato
a obbedire in maniera dogmatica ad alcune regole e poi a coinvolgere, di conseguenza,
gli altri. Ma questo perché c’è una totale mancanza di un governo e quindi di tutta
una struttura di scuole.
D. - Si parla di bambini afghani che vengono però
addestrati in Pakistan?
R. - Sì. Nel periodo d’oro dei talebani, quindi prima
del 2001, la tradizione nasce in Pakistan dove i bambini o venivano rapiti o, per
estrema povertà, venivano mandati nelle madrase a volte anche dagli stessi genitori,
pensando che lì potessero avere almeno un pasto caldo al giorno. In questi posti poi,
in realtà, veniva loro fatto il lavaggio del cervello, anche attraverso prove corporali
estremamente dure, prove fisiche, per far superare qualsiasi limite e quindi poter
poi utilizzare questa schiera di bambini, e anche di adulti, a seconda delle strategie
del momento, decise dai capi.
D. - Mai come in questo caso l'Afghanistan mette
sullo stesso piano uomo e donna: in una società che non ha mai riconosciuto diritti
all’essere femminile, per quanto riguarda la pratica dei kamikaze, bambini e bambine
subiscono eguale sorte…
R. - Sì, quello sì. Da un lato le donne non valgono
niente, dall’altro invece… Bisogna comunque pensare che i bambini in generale, ma
ancor più una bambina, non vengono sottoposti ai controlli che invece vengono fatti
sicuramente a persone adulte. Una bambina inoltre ha una certa capacità e facilità
nel passare inosservata. Questo vuol dire che è una nuova strategia del terrore, decisamente
peggiore e che, in qualche modo, spiazza.
D. - La Fondazione Pangea è presente
in Afghanistan da molti anni. Tu stessa conosci molto bene quel Paese: che percezione
avete della risposta della popolazione a questo crescente fenomeno?
R. – L’utilizzo
dei bambini-kamikaze colpisce l’animo di tutti: i bambini sono un momento di innocenza
e di rispetto per tutta la popolazione afghana. L’uso dei bambini genera disprezzo,
soprattutto perché anche la religione musulmana non parla mai di kamikaze e tantomeno
di uso dei bambini come kamikaze. E’ qualche cosa di ripugnante, che la popolazione
afghana sente. Proprio per questo, Fondazione Pangea lavora con le madri - e con tutto
il resto della famiglia - per cercare anche di assicurare poi un’educazione a questi
bambini.
D. - Pangea ha certificato negli anni, purtroppo, la strumentalizzazione
drammatica di bambini. Oggi, noi parliamo dei bambini kamikaze, ma non dimentichiamo
i bambini corrieri di droga…
R. - Assolutamente sì. Sappiamo benissimo che
l’Afghanistan è il più grosso produttore di oppio e quindi, poi, anche di oppio che
va trasformato in eroina. Molto spesso i bambini sono stati “riempiti”: i loro organi
venivano cioè riempiti di ovuli, di eroina e di oppio da lavorare, e venivano fatti
passare dal confine, dall’Afghanistan al Pakistan e viceversa. E poi venivano semplicemente
operati e mandati - purtroppo! - al macello del traffico degli organi.