Il patriarca di Venezia visita il carcere femminile di Giudecca
Visita del patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, domenica pomeriggio al carcere
femminile di Giudecca, per presiedere la Messa e incontrare le detenute e quanti lavorano
nel penitenziario. Lo scorso 18 dicembre il presule aveva già visitato il carcere
maschile veneziano di Santa Maria Maggiore. Antonella Pilia ha chiesto a mons.
Moraglia i motivi di questa visita:
R. – L’anno
scorso, visitando il carcere femminile, avevo promesso alle detenute che avrei avuto
piacere di incontrarle in varie circostanze e certamente quella delle feste natalizie
è una di queste. Direi, quindi, che il primo motivo è questo. E poi, l’aiuto che noi
possiamo dare a queste nostre sorelle, che stanno pagando un debito che hanno con
la società civile e che hanno tutte le intenzioni di recuperare. Tra l’altro, essendo
carcere penale - quindi avendo la presenza di detenute che sono ospiti per tempi piuttosto
prolungati - avrò anche la gioia di benedire un’ala del penitenziario in cui c’è una
custodia attenuata da parte di mamme che hanno con loro i bambini.
D. – Di
cosa si tratta nello specifico?
R. – E’ una porzione dell’edificio carcerario
allestita sotto forma di appartamento in cui le detenute possono creare un clima in
cui i bambini sentono il meno possibile questo regime di custodia carceraria. Faccio
un esempio: le guardie carcerarie non indossano la divisa e c'è libero accesso alla
televisione. E’ la seconda struttura in Italia, dopo quella di Milano, in cui si aiuta
a scontare una pena cercando di puntare soprattutto sulla stima, la fiducia, la rieducazione
di donne che vivono l’esperienza della maternità in una situazione difficile, che
non deve compromettere il momento educativo dei bambini in tenerissima età.
D.
– Di quante donne stiamo parlando?
R. – Questo esperimento riguarda quattro
bambini e tre madri. Io benedirò questa struttura, che è già in essere da qualche
mese, ma che è semplicemente un momento iniziale di un’apertura più ampia. Speriamo
che in un prossimo futuro un numero maggiore delle 80 detenute, tra quelle che sono
mamme e hanno bambini in tenera età, possano usufruire di questo contesto educativo
migliore per i loro figli.
D. – Quale messaggio porta alle detenute e anche
a coloro che lavorano in carcere?
R. – Il messaggio che ho portato il 18 dicembre
nel carcere maschile. Il messaggio fondamentalmente è questo: di fronte ad uno sbaglio
fatto, ci sono due possibilità: quella di perseverare nell’errore e di continuare
a giustificare quello che si è fatto ad oltranza, potrei dire, oppure affrontare la
questione alla radice, che molte volte s’identifica con questo semplice atteggiamento:
“Ho sbagliato voglio ricominciare”. Unito a questo messaggio c’è quello dell’affidabilità.
Chiederò anche alle ospiti donne, detenute: “Siate persone affidabili per il vostro
compagno di cella, per le guardie carcerarie, per i vostri familiari; incominciate
a ricostruire la vostra vita da voi stessi e rimarrete stupiti di quanto potete fare
in novità di spirito”. Questo credo che sia il messaggio che voglio dare anche alle
detenute donne, con un convincimento più forte, perché la donna rappresenta qualcosa
che non è ancora stata valorizzata fino in fondo dalla nostra società molto maschile,
sotto certi punti di vista. Io credo che anche nel redimersi dalle colpe le donne
possano avere un qualcosa di specifico da dire e da dare alla società.