2014-01-05 08:38:58

Il patriarca di Venezia visita il carcere femminile di Giudecca


Visita del patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, domenica pomeriggio al carcere femminile di Giudecca, per presiedere la Messa e incontrare le detenute e quanti lavorano nel penitenziario. Lo scorso 18 dicembre il presule aveva già visitato il carcere maschile veneziano di Santa Maria Maggiore. Antonella Pilia ha chiesto a mons. Moraglia i motivi di questa visita: RealAudioMP3

R. – L’anno scorso, visitando il carcere femminile, avevo promesso alle detenute che avrei avuto piacere di incontrarle in varie circostanze e certamente quella delle feste natalizie è una di queste. Direi, quindi, che il primo motivo è questo. E poi, l’aiuto che noi possiamo dare a queste nostre sorelle, che stanno pagando un debito che hanno con la società civile e che hanno tutte le intenzioni di recuperare. Tra l’altro, essendo carcere penale - quindi avendo la presenza di detenute che sono ospiti per tempi piuttosto prolungati - avrò anche la gioia di benedire un’ala del penitenziario in cui c’è una custodia attenuata da parte di mamme che hanno con loro i bambini.

D. – Di cosa si tratta nello specifico?

R. – E’ una porzione dell’edificio carcerario allestita sotto forma di appartamento in cui le detenute possono creare un clima in cui i bambini sentono il meno possibile questo regime di custodia carceraria. Faccio un esempio: le guardie carcerarie non indossano la divisa e c'è libero accesso alla televisione. E’ la seconda struttura in Italia, dopo quella di Milano, in cui si aiuta a scontare una pena cercando di puntare soprattutto sulla stima, la fiducia, la rieducazione di donne che vivono l’esperienza della maternità in una situazione difficile, che non deve compromettere il momento educativo dei bambini in tenerissima età.

D. – Di quante donne stiamo parlando?

R. – Questo esperimento riguarda quattro bambini e tre madri. Io benedirò questa struttura, che è già in essere da qualche mese, ma che è semplicemente un momento iniziale di un’apertura più ampia. Speriamo che in un prossimo futuro un numero maggiore delle 80 detenute, tra quelle che sono mamme e hanno bambini in tenera età, possano usufruire di questo contesto educativo migliore per i loro figli.

D. – Quale messaggio porta alle detenute e anche a coloro che lavorano in carcere?

R. – Il messaggio che ho portato il 18 dicembre nel carcere maschile. Il messaggio fondamentalmente è questo: di fronte ad uno sbaglio fatto, ci sono due possibilità: quella di perseverare nell’errore e di continuare a giustificare quello che si è fatto ad oltranza, potrei dire, oppure affrontare la questione alla radice, che molte volte s’identifica con questo semplice atteggiamento: “Ho sbagliato voglio ricominciare”. Unito a questo messaggio c’è quello dell’affidabilità. Chiederò anche alle ospiti donne, detenute: “Siate persone affidabili per il vostro compagno di cella, per le guardie carcerarie, per i vostri familiari; incominciate a ricostruire la vostra vita da voi stessi e rimarrete stupiti di quanto potete fare in novità di spirito”. Questo credo che sia il messaggio che voglio dare anche alle detenute donne, con un convincimento più forte, perché la donna rappresenta qualcosa che non è ancora stata valorizzata fino in fondo dalla nostra società molto maschile, sotto certi punti di vista. Io credo che anche nel redimersi dalle colpe le donne possano avere un qualcosa di specifico da dire e da dare alla società.

Ultimo aggiornamento: 7 gennaio







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