2014-01-02 14:56:05

L'Ue apre le frontiere del lavoro a romeni e bulgari. Boeri: vantaggi per i Paesi che li accoglieranno


Fa discutere all'interno dell'Ue la fine delle restrizioni in tema di mobilità territoriale per i lavoratori di Romania e Bulgaria. Un percorso avviato sette anni fa e che ora secondo Regno Unito, Francia e Germania poterà ad una vera e propria migrazione di massa. Altri sostengono invece che lo spostamento riguarderà soprattutto i lavoratori specializzati così da beneficiare i Paesi che li accoglieranno. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con Tito Boeri, ordinario di economia del lavoro alla Bocconi di Milano:RealAudioMP3

R. – Queste preoccupazioni ci sono sempre quando vengono tolte del tutto le restrizioni ai flussi migratori, però ricordiamoci anche quanto era successo in occasione del primo allargamento ad Est dell’Unione Europea: anche in quel caso ci furono preoccupazioni, ma la rimozione delle barriere alla mobilità dei lavoratori di questi Paesi non ha causato “quelle invasioni” che alcuni avevano paventato. In realtà si è trattato di un fenomeno molto più circoscritto e che, alla fine, ha dato benefici ai Paesi che hanno accolto questi lavoratori, a partire dal Regno Unito, l’Irlanda e i Paesi del Nord Europa.

D. – La crisi economico-monetaria ha avuto pesanti ripercussioni sul mondo del lavoro nel Vecchio Continente. Secondo lei, si sta andando verso la giusta direzione?

R. – Ci sono delle differenze molto forti all’interno dell’Europa in quanto a condizioni del mercato del lavoro: abbiamo Paesi come la Germania, come l’Austria, dove la disoccupazione è molto bassa e addirittura quella giovanile è al di sotto delle due cifre; e poi abbiamo Paesi come la Spagna e l’Italia, dove purtroppo la situazione è molto grave. Credo che questo, il fatto cioè che vi sia maggiore mobilità del lavoro, sia un fatto positivo, che permetterà in qualche modo di livellare queste differenze molto forti: questi lavoratori andranno proprio dove il mercato del lavoro tira di più. Le altre cose che l’Europa sta facendo sono giuste: l’Unione bancaria è un passo davvero molto importante! Si procede però sempre molto lentamente… Bisognerebbe fare però molto di più soprattutto sul piano del coordinamento e della politica fiscale e poi riformando proprio il bilancio comunitario, che oggi è squilibrato perché va a sostenere delle attività – come, per esempio, ancora le risorse che vengono utilizzate per la politica agricola - che in realtà potrebbero essere meglio gestite a livello nazionale, mentre altre risorse comuni – a partire dalle infrastrutture, dalle politiche per l’ambiente, dalle politiche per la ricerca – andrebbero maggiormente potenziate e gestite a livello europeo.

D. – La disoccupazione giovanile in Romania e Bulgaria è estremamente alta, ma in Europa la possibilità di trovare un lavoro per i giovani presenta molte differenze …

R. – Innanzitutto i giovani che provengono da Romania e Bulgaria sono spesso delle persone altamente istruite e quindi i Paesi che ricevono queste persone ne beneficeranno grandemente. Per quanto riguarda poi le politiche per ridurre la disoccupazione giovanile, sono in realtà per lo più politiche che vanno gestiste a livello nazionale. Il fatto che vi siano delle differenze così forti tra diversi Paesi dell’Unione Europea lo dimostra: Paesi come la Germania e l’Austria riescono a gestire molto meglio la transizione dalla scuola al lavoro di quanto non facciano Paesi come l’Italia. Su questo bisogna assolutamente cambiare registro! A mio giustizio proprio l’esempio della Germania e dell’Austria ci dice che noi avremo bisogno di una formazione professionale avanzata anche a livello universitario di base, che faciliti proprio la formazione di quelle qualifiche intermedie che sono oggi altamente richieste anche dal nostro tessuto produttivo.

D. – Proprio per abbattere queste differenze spesso si chiede di creare maggiore collegamento tra i luoghi di studio e quelli di lavoro...

R. – Sì, penso che si debba agire in questa direzione, soprattutto. Noi abbiamo molte sedi universitarie sul territorio che non hanno probabilmente la forza e la capacità di raggiungere delle dimensioni tali per poter svolgere ricerca e didattica molto avanzata, ma possono sicuramente fare molto bene nel fornire una formazione professionale di base a contatto con le imprese, in cui lo studente passi metà del proprio tempo in università, nelle aule universitarie, e l’altra metà del suo tempo in azienda.







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