Capodanno: i lampedusani aprono le case ai profughi
Capodanno con due ospiti d’onore. Una famiglia di Lampedusa ha festeggiato l’inizio
del 2014 con due giovani eritrei sopravvissuti ai naufragi del 3 e dell’11 ottobre.
Si tratta di due dei 17 profughi rimasti nel centro di primo soccorso e accoglienza
dell’isola siciliana. Il servizio è di Filippo Passantino:
L’ultimo
giorno dell’anno, sull’ultima isola in fondo all’Italia. Una mezzanotte speciale per
Tami, soldato disertore di 23 anni, e Falus, 18 anni, l’unica donna rimasta al centro
di accoglienza di Lampedusa in attesa di un interrogatorio giudiziario. Il loro 2013
è andato via con un cenone in una casa dell’isola, quella di Francesco Aiello ed Elisabetta
Cappello. Al fianco dei due giovani eritrei, in libera uscita dal centro di accoglienza,
c’erano tre generazioni di lampedusani. Tra luci, abbracci, presepi e cibo tutti insieme
hanno rivolto lo sguardo al nuovo anno, come racconta Elisabetta Cappello,
insegnante di lettere alla scuola media dell’isola:
R. – Tutti e due avevano
il sorriso negli occhi e soprattutto la ragazza con le bambine si è mostrata molto
affettuosa: faceva loro le treccine! Abbiamo instaurato un bel rapporto. Penso che
in un’isola, dove ancora vi è la presenza di ragazzi che purtroppo hanno vissuto una
vera e propria tragedia, non ci fosse di meglio che far trascorrere loro una serata
diversa, non lasciarli soli e stare insieme.
D. – Il ragazzo ha raccontato
che non aveva mai vissuto un Capodanno così e la ragazza si è detta per la prima volta
felice di stare a Lampedusa...
R. – A mezzanotte abbiamo brindato e poi ci
siamo fatti gli auguri. Abbiamo detto che speravamo in un 2014 pieno di pace e pieno
di serenità.
D. – Durante la serata non si è parlato dei tragici naufragi che
hanno vissuto. Il 2014 dei due giovani, sostengono i lampedusani, deve essere il tempo
della speranza, il tempo di una nuova vita...
R. – Sinceramente non abbiamo
chiesto niente di proposito, anche perché avevamo capito che la ragazza non aveva
voglia di parlare del terribile episodio. Invece, avevo parlato in classe con Tami,
che quindi già conoscevo. Abbiamo fatto, infatti, un progetto sull’immigrazione e
ho fatto sì che gli alunni potessero ascoltare l’esperienza di uno dei sopravvissuti.