Bilancio di fine anno: l'Europa ancora tra incertezze e speranze di crescita
L’anno che si sta per chiudere è stato un anno difficile per l’Europa ancora alle
prese con le conseguenze della crisi economica, la preoccupante disoccupazione giovanile
e l’incertezza sulle prospettive di crescita. I 28 Stati membri hanno cercato rimedi
per favorire la ripresa e per contenere i rischi dell’area euro attraverso una serie
di iniziative. Una tra tutti, è l’Unione bancaria. Ma quali le luci e le ombre per
l’Europa? Al microfono di Benedetta Capelli, risponde la prof.ssaFederiga
Bindi, titolare della cattedra “Jean Monnet” presso l'Università Tor Vergata di
Roma:
R. - La luce
maggiore, secondo me, è l’entrata nell’Unione Europea della Croazia per il valore
simbolico che ha, trattandosi di uno Stato dei Balcani che ha vissuto anche la guerra.
Quella, secondo me, è stata la cosa più importante, anche se non gli è stata data
tutta l’evidenza che doveva avere. L’ombra è costituita dall’inabilità nel dare delle
risposte forti alla crisi, creando un vero Stato europeo.
D. - Però, per quanto
riguarda ad esempio l’Unione bancaria, in questo senso un passo avanti è stato fatto?
R.
- Sì. È stata venduta come una grossa vittoria specialmente per l’Italia, ma intanto
è un meccanismo che prenderà completamente piede nel 2025. Da oggi al 2025, rischiamo
di morire di crisi almeno altre tre o quattro volte. Meglio di niente, ma in realtà
sono meccanismi che curano i sintomi non il problema.
D. - E allora, che cosa
manca perché l’Europa abbia una marcia in più per quanto riguarda questa crisi, che
morde e che ha morso l’economia di molti Paesi?
R. - Due cose: la consapevolezza
che solo una politica del rigore - che poi è sostanzialmente fatta di tasse - non
aiuta ad uscire dalla crisi. Per uscire dalla crisi ci vogliono politiche espansionistiche
che siano però intelligenti. Seconda cosa, la consapevolezza che l’Europa deve, per
forza, diventare un’entità politica più forte. Solamente creando una vera federazione,
l’Europa sarà in grado di rispondere alle sfide del 21.mo secolo. Per ora, sta solo
arrancando, e sono già 14 anni che siamo nel 21.mo secolo.
D. - Durante questo
anno, hanno scosso molto anche le varie tragedie dell’immigrazione: una su tutte quella
di Lampedusa, con oltre 300 morti. L’Europa ha, secondo lei, una sola voce quando
si parla di politiche sociali?
R. - Sicuramente no. É una delle materie in
cui gli interessi degli Stati nazionali - o meglio, i populismi degli Stati nazionali
- sono molto diversi, perché poi quale sia veramente l’interesse degli Stati nazionali
sul tema dell’immigrazione c’è molto da discutere, perché in realtà l’immigrazione
per un continente che fa sempre meno figli può esser assolutamente benefica. Il problema
è come gestire l’immigrazione. L’altro problema è come attrarre immigrazione di eccellenza,
cioè gente che vuol venire per migliorare la propria vita, per fare un vero salto.
E riguardo ciò, non sono sicura se riusciremo ancora ad attrarre questo tipo di persone.
D.
- Il 2014 si apre nel segno del semestre europeo con presidenza greca e successivamente
italiana. Atene e Roma hanno pagato un prezzo molto alto per la crisi economica. Cosa
possiamo attenderci?
R. - La prima cosa da dire è che la presidenza oggi, sotto
il Trattato di Lisbona, non è più la presidenza di un tempo. Secondo me, per l’Italia
è l’occasione giusta per dare una grande prova - e noi siamo in grado di darla - in
modo virtuoso, ma al tempo stesso di fare cose a costo zero.
D. - E per quanto
riguarda la Grecia?
R. - Per la Grecia, essendo un Paese piccolo, lo sforzo
- teoricamente - è ancora più grande. Dico teoricamente, perché poi nella realtà dei
fatti la storia mostra che i Paesi piccoli hanno teso ad appoggiarsi di più sulle
strutture dell’Unione Europea, facendo alla fine uno sforzo comparativamente minore.
Credo che la Grecia ne possa cavare le mani da questa presidenza soltanto, appunto,
delegando il più possibile all’Unione Europea.
D. - Visto l’anno appena trascorso,
l’Europa in quale direzione sta andando?
R. - Mi sembra si stia andando a tentoni.
Manca la consapevolezza che il mondo è completamente cambiato. È un continente che
non riesce a rispondere alle sfide del futuro, che non riesce neanche a capire che
il mondo è cambiato. E se non riesce a capirlo velocemente, è un guaio.
D.
- Anche perché in molti Paesi stanno crescendo delle spinte estremiste molto forti…
R.
- Assolutamente. Queste elezioni europee rischiano di essere una vera dèbâcle
per il sorgere di movimenti populisti, anche perché sappiamo che spesso l’elettore,
quando vota per le elezioni europee, vota più a cuor leggero perché pensa che in fondo
- e pensa sbagliando - il livello europeo non lo riguardi. Dico sbagliando perché
ormai il parlamento europeo ha un potere di decisione, quindi coloro che verranno
mandati a Bruxelles avranno un effetto diretto sulle nostre vite. Si tende più facilmente
a dare il voto a partiti estremisti, quindi a dare un voto di protesta, che magari
in elezioni nazionali o locali non si darebbe.