Congo: l'esercito riprende il controllo di Kinshasa. La difficile situazione degli
italiani bloccati con i figli adottivi
Repubblica Democratica del Congo. La calma è tornata a Kinshasa dopo una giornata,
quella di ieri, decisamente rovente. Il ministro della Difesa, Luba Ntambo, ha infatti
dichiarato che l’esercito controlla "totalmente" la situazione, dopo una serie di
attacchi contro la capitale Kinshasa e Lumumbashi, capoluogo della provincia congolese
del Katanga. Sentiamo Giulio Albanese:
L’attacco su
più fronti è stato compiuto da alcuni seguaci di un sedicente pastore di una chiesa
indipendente, ex candidato alle presidenziali del 2006, un certo Joseph Mukun gu bila
Mutombo. In una lettera aperta datata 5 dicembre, questo predicatore, caratterialmente
riottoso e impulsivo, aveva criticato la gestione del governo Kabila, pronunciando
poi parole di odio per il vicino Rwanda. Mukungubila si dichiara profeta affermando
di essere direttamente ispirato da Dio. Leader dunque di una setta con pretese apocalittiche,
all’insegna del giudizio finale. Ma questa volta pare proprio che non vi sia stato
un lieto fine. I ribelli infatti, secondo fonti governative, avrebbero perso almeno
una cinquantina di combattenti a Kinshasa in tre distinti siti: all'aeroporto, alla
tv di Stato e nel complesso dello Stato maggiore dell'esercito. Al momento non risultano
segnalazioni di vittime civili. Oltre a Kinshasa, sparatorie sono state segnalate
anche a Lubumbashi, dove sarebbero caduti una ventina di insorti.
Gli scontri
fra ribelli e forze governative avvenuti oggi a Kinshasa accrescono i disagi delle
24 famiglie italiane bloccate da più di un mese, con i loro figli adottivi, nella
capitale congolese per lo stop delle adozioni internazionali deciso dal governo africano.
Il premier italiano Letta ha garantito che Roma sta lavorando per risolvere al più
presto la vicenda. Palazzo Chigi, inoltre, spiega che il Congo stesso si sarebbe impegnato
a velocizzare il riesame delle adozioni. Il 27 dicembre i genitori avevano incontrato
le delegazione italiana giunta nel Paese per risolvere la situazione ricevendo però
brutte notizie. Lo conferma Massimo De Toma, cittadino italiano, con la moglie
Roberta, a Kinshasa ormai dal 13 novembre. L'intervista è di Fabio Colagrande:
R. - La delegazione
ci ha ricevuto in ambasciata e ci ha riferito ciò che la Dgm ha loro detto e cioè
che non c’erano le ragioni per rinnovarci i visti e che quindi saremmo potuti tornare
in Italia, senza chiaramente i nostri figli in questo caso! Inoltre hanno detto loro
che avrebbero dato garanzie sui nostri figli, che avrebbero esaminato nel più breve
tempo possibile i dossier, ma che chiaramente tutte queste operazioni avrebbero richiesto
evidentemente del tempo. Gli interlocutori congolesi non sono stati in grado di fornire
una data certa del termine di questi controlli.
D. - Quindi praticamente vi
hanno detto che dovete rientrare in Italia senza i bambini e che le vostre pratiche
devono essere ancora esaminate…
R. - Dovranno essere controllate, così come
anche il post adottivo: quindi una delegazione di autorità congolesi si dovrà recare
in Italia per verificare le pratiche post adottive. Questo è quello che la Dgm ha
riferito alla delegazione.
D. - Vogliamo spiegare a chi ci ascolta cos’è la
Dgm, di cui lei parla?
R. - Sì. La Dgm è praticamente la Direzione generale
della migrazione, un ente di polizia e di controllo delle dogane congolesi: l’autorità
quindi che rilasci i visti per i cittadini congolesi che escono dal Paese. Tra l’altro
vorrei anche specificare che i nostri figli sono a tutti gli effetti, con sentenza,
figli di famiglie italiane, ma attualmente sono ancora cittadini congolesi. Per cui
necessita il visto di uscita di queste autorità.
D. - Ed è proprio l’assenza
di questo visto che vi ha tenuto bloccati così a lungo a Kinshasa?
R. - Esatto!
Tra l’altro le posso anche dire che questa sarebbe una pura formalità, perché tutte
le pratiche adottive sono state concluse.
D. - Tra l’altro arrivano notizie
preoccupanti da Kinshasa, dove voi vi trovate: ci sarebbe state diverse sparatorie.
E questo ovviamente accresce il vostro disagio…
R. - Esatto! Ma oltre al disagio,
siamo molto preoccupati: siamo preoccupati per noi, siamo preoccupati per i nostri
figli. Noi abbiamo già informato la Farnesina, abbiamo informato l’ambasciata e siamo
in attesa di sapere cosa fare. Noi vogliamo tornare in Italia con i nostri figli!
A questo punto vorremmo un’azione forte, perché qui non siamo più sicuri! Non possiamo
garantire la sicurezza né nostra né dei nostri figli! Nostra figlia ormai ha stretto
ormai il legame familiare, che non ci saremmo aspettati… Abbiamo dovuto iniziare ad
informarli del fatto che potremmo partire e doverli lasciare qui, per ritornare poi…
Chiaramente le posso dire che i bambini sono - anch’essi - molto colpiti e molto tristi
per questa situazione. A maggior ragione, purtroppo con queste notizie drammatiche
che giungono dalla città. Vogliamo fare l’appello che abbiamo fatto sempre: vorremmo
che tutti - veramente tutti! - facessero il massimo per riportarci a casa con i nostri
figli! I nostri iter sono terminati, aspettare il visto non è un motivo per bloccare
le famiglie qua! Noi pensiamo che il governo possa fare di più e chiediamo che il
Papa possa intervenire direttamente. Questo è un Paese che ha il 70% di popolazione
cattolica. Parliamo di famiglie, non parliamo di commercio, non parliamo di armi…
Parliamo di bambini che soffrono! L’interesse primario delle famiglie e degli Stati
deve essere il bene dei bambini.