Storia di Andrea, trans uccisa a bastonate, ora seduta al banchetto di Dio
"Andrea
era una giovane di 28 anni, transessuale, fuggita dalla Colombia dove tante persone
come lei vengono discriminate, fatte oggetto di violenza e costrette alla prostituzione
da gruppi armati che controllano il territorio e le sfruttano, minacciando le loro
famiglie e usando il ricavato per acquistare armi e droga".P. Giovanni
La Manna sj, presidente della Fondazione Centro Astalli racconta così la storia
di Andrea Quintero, il trans colombiano ucciso a bastonate alla stazione
Termini di Roma il 28 luglio, di cui il 27 dicembre scorso sono stati celebrati i
funerali alla Chiesa del Gesù, alla presenza del ministro Kyenge, del sindaco Marino
e di rappresentanti della Caritas, del Cesv-Lazio, della Croce Rossa e di Sant'Egidio.
"Era arrivata a Roma quattro anni fa, ma non aveva una casa. Dormiva alla stazione,
mangiava alla Caritas di Colle Oppio e sognava una vita diversa. Aveva già subito
in passato un violento pestaggio, restando in coma diversi mesi ed era rimasta menomata
fisicamente. Questo deve farci riflettere, aprire i nostri occhi, svegliare le nostre
coscienze. Perché persone che scappano da discriminazioni e violenze non possono arrivare
nel nostro Paese e continuare a essere messe al margine, a vivere nell'indifferenza".
"Quando abbiamo saputo della sua morte - spiega p. La Manna - insieme agli amici del
Cesv-Lazio e della Caritas romana, che come noi lavorano per accogliere gli emarginati,
ci siamo mobilititati per darle una degna sepoltura e celebrare delle esequie che
fossero un segno di affetto per una persona rimasta al margine. Un gesto di attenzione
e preghiera che vuole avere un significato anche per quanti sono nelle sue stesse
condizioni. Per i circa settemila senza fissa dimora che vivono nella nostra città,
gli invisibili della nostra società".
Andrea è stata uccisa nel luglio
scorso, ma i funerali sono avvenuti solo dopo cinque mesi. "Dopo l'omicidio il magistrato
ha bloccato la salma per le indagini", spiega ancora il presidente del Centro Astalli.
"Poi, attraverso il Consolato colombiano, abbiamo avviato la ricerca di eventuali
parenti nel suo Paese d'origine, che non si sono trovati. Questo ha rallentato tutto,
nonostante i nostri sforzi di velocizzare le cose". "Noi qui al Centro Astalli
(sede italiana del Jesuit Refugee Service) abbiamo il privilegio e il peso di condividere
tante testimonianze di storie simili a quella di Andrea", continua La Manna. "Il fatto
triste è apprendere che le discriminazioni e le violenze da cui queste persone fuggono,
possono incontrarle anche qui a Roma. E' pesante apprendere che a Roma un transessuale
che arriva dall'America-Latina non abbia altra opportunità se non quella di prostituirsi.
Dobbiamo dare a queste persone le occasioni per rifarsi una vita onestamente. Prima
di etichettarle, di emettere giudizi, dovremmo farci un esame di coscienza. Chiederci
cosa abbiamo fatto davvero noi per offrire un'altra possibilità a una giovane transessuale
che scappa dalla violenza".
E c'era chi aveva veramente provato ad offrire
ad Andrea Quintero un'altra occasione. Paola Aversa, volontaria del centro
ascolto stranieri della Caritas diocesana di Roma, in via delle Zoccolette,
aveva appena convinto il trans colombiano a lasciare la strada, per iniziare un percorso
sanitario e di promozione umana, quando Andrea ha trovato la morte lungo il binario
10 della stazione Termini. "Ho accolto molto positivamente la presenza delle istituzioni
alle sue esequie", spiega la volontaria ai nostri microfoni. "Ho sentito che non era
una presenza di circostanza, ma di testimonianza di un impegno concreto nei confronti
delle povertà estreme. Spero davvero che si concretizzi presto in fatti". "Mi hanno
colpito molto le parole di mons. Enrico Feroci, direttore della Caritas di Roma, che
ha celebrato le esequie e ha parlato con grande tenerezza di Andrea", spiega Paola
Aversa. "Ci ha ricordato che dopo una vita di stenti ora è seduta al banchetto di
Dio". "Andrea - spiega la volontaria Caritas - è arrivata da noi nell'agosto del
2011 e subito mi sono accorta della sua vulnerabilità, sia fisica che psicologica,
che derivava dal suo vivere in strada. Aveva difficoltà motorie per un pestaggio subito
anni fa. Ma ho percepito subito anche una grande sensibilità e umanità. Spesso veniva
al colloquio portandomi dei fiori di stoffa colorati o dei fiori veri". "I primi colloqui
erano stati difficili. Andrea era una persona resa diffidente dalla durezza della
vita di strada. C'era voluto un po' perché si aprisse. Ma poi si era instaurato un
rapporto di fiducia che mi aveva permesso di apprendere particolari della sua vita,
purtroppo segnata spesso da violenze e soprusi. Ma, nonostante tutto, Andrea sapeva
sorridere e non aveva perso la speranza di guardare a un futuro migliore". "Eravamo
così riusciti, con il tempo, a convincerla ad intraprendere un percorso di reinserimento
sociale". "Il 25 luglio, dopo due anni di lavoro, avevamo avuto la sua disponibilità
ad entrare in comunità. Ma poi è arrivata la morte. E rimane forte il dispiacere per
non essere riusciti in tempo a tirarla furi da una vita che non aveva certo voluto,
ma era costretta a subire. Avrebbe voluto una vita normale, con degli affetti stabili,
una casa, un lavoro, come tante ragazze di trent'anni". "Dobbiamo far crescere
nella nostra comunità - conclude Paola Aversa - sensibilità e attenzione nei confronti
dei poveri che sono il vero volto di Dio. Senza alcuna discriminazione, verso chi
è un trans o una prostituta, perché al primo posto c'è sempre e solo la persona".
(a cura di Fabio Colagrande)