Caritas nazionale: che il 2014 sia anno di rinascita per la politica migratoria italiana
Gli oltre 300 morti a largo di Lampedusa e i sette lavoratori cinesi periti nel rogo
di Prato sono le due vergogne che nel 2013 pesano sull’Italia: la fondazione Migrantes,
della Cei, ha affidato a una nota nei giorni scorsi la pesante critica contro la gestione
italiana delle migrazioni. L'Italia, si legge, così come l’Europa, è incapace “di
leggere e gestire un nuovo fenomeno di mobilità”. Sono però spesso proprio le tragedie
che permettono di riaprire il tema dell’immigrazione, come la protesta degli ultimi
giorni scoppiata nel Cie di Ponte Galeria a Roma, che ha visto un gruppo di migranti
fare lo sciopero della fame, dormire all’addiaccio e addirittura cucirsi le bocche
per protestare soprattutto contro le condizioni di vita alle quali sono sottoposti.
Si chiude un 2013 da una parte molto doloroso, dice Oliviero Forti, responsabile
dell’Ufficio immigrazione di Caritas italiana, dall’altra però ricco di spunti affinché
il 2014 sia occasione per superare una lunga serie di criticità. Francesca Sabatinelli
lo ha intervistato:
R. – Occorre
rimettere mano ad un sistema nazionale di accoglienza per chi arriva nel nostro Paese,
fuggendo da guerre, conflitti, persecuzioni, e che non sia improntato come è stato
sino ad oggi sull’emergenza, ma un sistema in grado di assorbire numeri che ormai
sono consolidati: 30, 35 mila persone che arrivano ogni anno sulle nostre coste. Noi
continuiamo a dire che serve un tavolo di concertazione con il terzo settore, affinché
quest’ultimo sia parte attiva nel fronteggiare, assieme al governo, le emergenze che
si presentano. Chiaramente Lampedusa è stata e rimane la realtà più sollecitata dai
continui arrivi. E Lampedusa deve essere dotata di un Centro che sia degno di questo
nome. La Caritas, a febbraio, aprirà un Centro operativo, di supporto, perché vogliamo
dare anche un segnale forte. Lampedusa è un luogo simbolo, ma luogo anche strategico,
per un’accoglienza che possa avvenire secondo quelli che sono gli standard internazionalmente
riconosciuti.
D. – L’anno che entra si apre con l’eco del dibattito sull’introduzione
dello Ius soli, sulla chiusura dei Cie, sulle modifiche alla Bossi-Fini. A suo giudizio
quale di questi punti potrà avere, nei mesi prossimi, risposte più concrete?
R.
– Un po’ tutti i punti, anche perché il tema della cittadinanza, e quindi dello Ius
soli, è un tema a noi molto caro. Abbiamo partecipato, lo facciamo tutt’oggi, ad una
campagna che promuove il diritto dei minori, figli di stranieri nati in Italia, ad
essere cittadini italiani. E continuiamo, perché dopo tante promesse, dopo tanti impegni,
dopo due proposte di legge depositate in Parlamento, ancora non vediamo una luce all’orizzonte.
In qualche modo chiederemo, nonostante un panorama politico in evidente mutamento,
che ci si impegni realmente, affinché questo diventi un tema forte della prossima
agenda politica del nostro Paese e soprattutto di questo governo. I Cie sono un altro
tema forte legato alla presenza dei cittadini stranieri irregolari sul territorio.
Noi, in passato, avevamo già chiesto la loro chiusura. Dopo gli ultimi avvenimenti
non possiamo che confermare questo, nella consapevolezza che i Cie costituiscono un
pezzo di un’idea ormai obsoleta di gestione dell’immigrazione che, purtroppo troppo
spesso, si scontra con quelle che sono palesi violazioni dei diritti umani. Quindi,
‘no’ ai Cie.
D. – E quali sono le possibilità che si possa metter mano alla
Bossi-Fini?
R. – E’ un po’ tutto l’impianto sull’immigrazione in Italia che
andrebbe rivisto. La Bossi-Fini costituisce evidentemente il maggiore vulnus, però
non è l’unica questione. Probabilmente partire dalla Bossi-Fini significa dare un
segnale forte. Noi ci attendiamo dal governo che nel 2014 qualcosa si faccia, a partire
dall’abolizione del reato di immigrazione clandestina, che ha fatto subire pene indicibili
spesso a migranti la cui sola colpa era quella magari di avere perso il lavoro e quindi
essere diventati irregolari. Tutto questo non vorremmo più vederlo nel 2014.
D.
– Una notizia delle ultime ore è la proposta di aprire agli immigrati le Forze armate
italiane. La dobbiamo giudicare una provocazione o una reale possibilità?
R.
– Certamente siamo su un piano abbastanza scivoloso. Già rispetto al tema legato al
servizio civile nazionale abbiamo dovuto attendere una serie di sentenze perché si
desse la possibilità anche ai cittadini stranieri di partecipare. Circa le Forze armate
l’idea di poter vedere cittadini non italiani farne parte significa avere un nuovo
approccio al tema migratorio. Non so però ancora quanto il nostro Paese sia maturo
per una scelta di questo tipo.
D. – Su tutto questo vogliamo ricordare il messaggio
che il Papa ha lanciato in occasione delle festività natalizie: apriamoci ai migranti,
accogliamoli e aiutiamoli...
R. – Tutto quello che in questi mesi è stato fatto
da Francesco è stato straordinario. Abbiamo visto il cambio di passo anche nella percezione
comune rispetto al tema, e questo grazie a tutti i gesti portati avanti dal Papa.
Quindi, noi crediamo fortemente nella figura di un Santo Padre che crede che l’immigrazione
sia un segno dei tempi. Bisogna ormai prenderne atto, farsi carico e lavorare affinché
una società, che è ormai palesemente multiculturale, possa, anche se con il tempo,
anche se con fatica, diventare interculturale e quindi capace di riconoscere le differenze.