2013-12-28 09:33:19

10 anni fa veniva ucciso in Burundi il nunzio Courtney: all'odio etnico oppose la testimonianza cristiana


Ricorreva domenica il 10° anniversario della morte dell’arcivescovo Michael Aiden Courtney, nunzio apostolico in Burundi, ucciso il 29 dicembre 2003 da colpi d’arma da fuoco, nei pressi di Bujumbura. Il movente e gli autori del delitto restano ancora ignoti. Il Paese nei primi anni 2000 viveva un periodo di transizione, dopo una sanguinosa guerra civile e una difficile convivenza etnica tra hutu e tutsi. I tentativi di pacificazione erano portati avanti, tra gli altri, dalla Comunità di Sant’Egidio: tra i suoi operatori, anche don Angelo Romano, oggi rettore della Basilica romana di San Bartolomeo all’Isola. A lui, Giada Aquilino ha chiesto un ricordo di mons. Courtney e del Burundi di quegli anni: RealAudioMP3

R. - Era l’anno in cui il Burundi faticosamente stava cercando di uscire dalla guerra civile, che era iniziata esattamente dieci anni prima, nel ’93; adesso sono 20 anni da quella data. Nell’ottobre del ’93 era stato ucciso il primo presidente democraticamente eletto del Paese, Melchior Ndadaye: si scatenò una guerra che era insieme politica ed etnica. Nel 2000 poi ci furono gli accordi di Arusha, in Tanzania, fatti con la mediazione prima di Mwalimu Nyerere e poi di Nelson Mandela: accordi cui la Comunità di Sant’Egidio aveva attivamente partecipato. A queste intese seguì una fase molto lunga di applicazione degli accordi e di coinvolgimento delle fazioni armate, che non erano comprese negli accordi di Arusha: ce ne erano alcuni che erano rimasti fuori, tra cui il movimento al quale appartiene l’attuale presidente del Burundi, Pierre Nkurunziza, e altri movimenti importanti. Quindi nel 2003 si era verso la fine della guerra e, come spesso avviene, le fasi finali dei conflitti sono anche molto sanguinose. Purtroppo mons. Courtney è rimasto vittima proprio di un attacco durante questa fase conclusiva. La sua morte è però significativa perché, così come tanti sacerdoti, vescovi e missionari che sono morti durante questo conflitto, è in qualche modo il segno di una vicinanza della Chiesa cattolica alla popolazione, che ha sofferto enormemente durante questo conflitto.

D. - Perché fu ucciso il nunzio Courtney?

R. - Le circostanze della sua morte rimangono abbastanza oscure. Si sa soltanto che, mentre viaggiava, la sua automobile venne attaccata e fu ucciso. Le ragioni di questo omicidio non sono chiare: c’è anche il dubbio se volessero veramente attaccare il nunzio o se mons. Courtney rimase vittima di un attacco indiscriminato fatto lungo le vie di comunicazione, come avveniva spesso nel conflitto burundese. Una cosa è certa: il nunzio è stato ucciso perché si spendeva per la pace e quindi era una persona vulnerabile in quanto girava il Paese. Lui aveva preso la sua funzione di nunzio in Burundi con grande serietà e con grande impegno e questo lo portava a visitare molte diocesi e molte parti del Burundi, esponendosi a quelli che erano i rischi di questo tipo di azione. Quindi non c’è dubbio che la sua morte si iscrive anche nel segno di un dono fatto al Paese, perché il suo contributo alla pace nasce proprio dal fatto che - come tanti morti durante il conflitto - non sia fuggito da una situazione di pericolo, ma al contrario sia rimasto vicino alla gente.

D. - L’arcivescovo Courtney predicava l’amore reciproco, la riconciliazione cristiana, l’armonia e l’unità tra le persone. Non a caso la Conferenza episcopale burundese ha dedicato il 29 dicembre alla Giornata speciale di preghiera per la pace e la riconciliazione nel Paese. A che punto è oggi il Burundi?

R. - Non c’è dubbio che, se guardiamo retrospettivamente, vediamo che è anche un Paese che ha saputo trovare la sua strada per la pace. Indubbiamente ci sono molti problemi, ma oggi nel Parlamento siedono quelli che prima erano i nemici, quelli che prima si facevano la guerra. Il Paese appartiene agli hutu, ai tutsi, ai twa - i pigmei - e agli swahili e a quelli che hanno scelto di abitarci. E’ un Paese che deve trovare una sua armonia e penso che - con fatica e dopo quasi 250 mila morti - la stia trovando anche grazie al sacrificio di persone come il nunzio Courtney.

D. - All’Angelus di Santo Stefano, Papa Francesco ha esortato tutti i cristiani a pregare per quanti sono perseguitati a causa della loro fede in Gesù, ricordando che le persecuzioni sono comunque occasione per rendere testimonianza. Quindi l’esempio di mons. Courtney qual è in tal senso?

R. - In tal senso è l’esempio di una persona che alla logica terribile dell’odio etnico ha opposto una vera testimonianza cristiana. Mons. Courtney di fronte alla predicazione dell’odio - perché c’era una predicazione dell’odio durante il conflitto burundese - ha opposto, insieme a tutta la Chiesa cattolica burundese, una predicazione in senso opposto...

D. - Per Sant’Egidio, da sempre impegnata in Burundi, qual è la speranza? Qual è l’auspicio per il futuro del Paese africano?

R. - Che il Paese continui sulla strada della riconciliazione: qui e là ci sono dei segni preoccupanti, certo. Credo che la storia del Burundi debba essere la storia e l’esempio di un Paese piccolo - sono 6 milioni di abitanti ed è grande territorialmente quanto il Belgio - che sta cercando di costruire una pagina nuova. Io credo che, in questo senso, i cristiani e la Chiesa siano chiamati veramente a fornire gli elementi per questa costruzione, perché il Paese non possa più rivivere gli orrori del passato.

Ultimo aggiornamento: 31 dicembre







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