Escalation di violenza in Centrafrica. Una missionaria: situazione catastrofica, ma
restiamo tra la gente
Cinque soldati ciadiani sono morti nel corso di scontri a Bangui, capitale del Centrafrica.
Lo ha annunciato un portavoce del contingente ciadiano della forza africana nel Paese,
secondo cui la città si trova in una situazione di caos. A Bangui sono, inoltre, operative
forze militari francesi. Le violenze interetniche, di queste ultime settimane, hanno
causato centinaia di vittime a Bangui e in provincia. Sulla drammatica situazione
in Centrafrica, Lucas Duran ha raccolto telefonicamente la testimonianza di
suor Elianna, missionaria comboniana operante nel Paese:
R. - E’ abbastanza
difficile, in questo momento, trovare le parole esatte per descrivere una situazione
che è davvero catastrofica. Potremo dire che lo Stato del Centrafrica è attualmente
uno Stato completamente e capillarmente occupato da una ribellione che è fatta del
90 per cento di mercenari del Ciad e del Sudan, dove ovunque dettano legge i signori
della guerra: sono diventati loro gli amministratori, i poliziotti, i gendarmi,
giudici… Il loro modo di governare è attraverso la violenza: quindi innescano granate,
sparano sulla popolazione, sequestrano le persone e le liberano, dopo averle torturate,
soltanto in cambio di un riscatto.
D. - Quanto c’entra, a questo punto, la
religione? Sappiamo che il presidente deposto François Bozizé era cristiano: si parla
di contrapposizione tra cristiani e musulmani… Ma, appunto, quanto c’è di religioso
in questo confronto in atto?
R. - C’è qualcuno che cerca di manipolare, a livello
internazionale, la visione di questa guerra che non è assolutamente una guerra religione:
è una guerra politica ed economica, di conquista del potere e anche di vendette personali,
che purtroppo è formata da un piccolissimo gruppo di centrafricani, perché il 90 per
cento di questi ribelli sono dei mercenari ciadiani e sudanesi, che sono tra l’altro
di religione musulmana. Che cosa è successo? Mentre occupavano tutti i villaggi, tutti
i luoghi amministrativi, queste persone parlavano soltanto l’arabo, né il francese
né la lingua nazionale: quindi era più facile la comunicazione con i musulmani, che
da sempre convivono pacificamente in Centrafrica con i cristiani. E’ stato più facile,
per loro, offrire una certa protezione alla comunità musulmana in cambio di soldi,
di piccoli riscatti - anche da parte loro - di piccole tangenti oppure in cambio di
favori. Quindi si sono accaniti contro i cristiani, contro la comunità cristiana,
ma non per delle ragioni di religione!
D. - Come vive, in tutto questo, la
popolazione, quella che magari non entra attivamente a far parte del conflitto?
R.
- In questo momento la situazione è davvero drammatica! Ci sono 210 mila sfollati
interni a Bangui, che è sì la capitale ma non conta più di 800 mila abitanti: quindi
una grande fetta di popolazione abita in luoghi improvvisati, in tende improvvisate;
non ha il minimo necessario… Sono totalmente insufficienti gli aiuti inviati dalla
Comunità internazionale. Per il momento sono soprattutto la Chiesa - attraverso con
la Caritas - e la Croce Rossa Internazionale che danno un supporto.
D. - Qual
è la situazione in particolare di voi missionari, che siete presenti ormai da tempo
e che continuate ad esserlo nelle varie località in cui siete presenti nella Repubblica
Centrafricana? Come riuscite ad operare e quali sono - anche per voi - le maggiori
difficoltà in questo periodo?
R. - Io vorrei rispondere a questa domanda dedicando
qualche secondo ai preti diocesani e per i religiosi diocesani, perché sono quelli
che in questi mesi hanno subito più danni, sono stati più spogliati, più umiliati
e che sono dovuti anche scappare dalle parrocchie, dalle case dove erano. Sono loro
che purtroppo hanno subito le conseguenze peggiori fino ad ora! I missionari, soprattutto
i missionari stranieri, per il momento hanno la sofferenza di condividere questo momento
difficile del popolo, ma al di là di alcune perdite materiali - soprattutto la perdita
delle automobili che sono state rubate in tutto il Paese; ne abbiamo salvate un po’
nella capitale - non hanno subito danni alla persona… Loro continuano ad essere presenti
e la loro presenza è proprio un segno di speranza per la gente. Come dire: finché
ci sono loro, c’è ancora la possibilità che il futuro sia migliore! Sono un sostegno,
sono un appoggio e dove è possibile far arrivare degli aiuti, sono loro che gestiscono
anche delle situazioni di emergenza. Si vede che il Vangelo che può essere vissuto
e annunciato ovunque e in questa situazione ha davvero una grande portata profetica.