India. L'arcivescovo di Delhi: dalit cristiani discriminati per impedire conversioni
"Abbiamo capito che serviva un segnale forte. Altrimenti nessuno avrebbe prestato
attenzione alla nostra protesta. Serviva un gesto drastico, anche se significava infrangere
la legge. Abbiamo dovuto rischiare». Così mons. Anil Couto, arcivescovo di Delhi,
racconta com’è degenerata la protesta pacifica in difesa dei diritti dei dalit - i
fuori casta nel sistema sociale e religioso induista - cristiani e musulmani. Mercoledì
11 dicembre il presule, assieme a numerosi membri del clero locale, ha partecipato
a una marcia pacifica per i diritti dei fuori casta cristiani e musulmani. Sono ormai
diversi anni che la Chiesa indiana conduce una battaglia in favore dei dalit, chiamati
spregiativamente “mangiatori di ratti”, che rappresentano più del 65% dell’intera
comunità cristiana locale. Nel 1950 il Parlamento riconobbe diritti e facilitazioni
di tipo economico, educativo e sociale ai dalit indù, diritto poi esteso a buddisti
e sikh nel 1956 e nel 1990, ma mai a cristiani e musulmani. «Secondo l’ideologia hindutva,
l’India dovrebbe essere esclusivamente indù. I cristiani, in particolare, sono discriminati
perché si teme che se fossero garantiti loro gli stessi diritti degli indù, questi
potrebbero convertirsi al cristianesimo". Da diversi anni si cerca di sensibilizzare
le autorità indiane attraverso proteste pacifiche, cui partecipano esponenti della
comunità cristiana e musulmana. "Stavolta – spiega l’arcivescovo alla Fondazione Aiuto
alla Chiesa che Soffre (Acs) – sapevamo che il parlamento era nella sua sessione invernale
e speravamo di attirare l’attenzione". Per la prima volta in 15 anni, la situazione
è degenerata portando all’arresto di circa 400 dimostranti, tra cui lo stesso mons.
Couto ed altri leader cristiani e musulmani. "La reazione della polizia è scattata
quando abbiamo violato le barriere di sicurezza che portano al parlamento. Allora
gli agenti hanno cercato di fermarci usando manganelli e cannoni ad acqua. Se avessimo
resistito più a lungo avrebbero probabilmente usato anche mezzi più violenti". L’accaduto
è valso le scuse del primo ministro indiano Manmohan Singh, che venerdì 13 dicembre
ha ricevuto mons. Couto ed una delegazione del clero locale per un breve ma 'incoraggiante'
colloquio. "Il premier ci ha porto le sue scuse e ha garantito che farà di tutto per
sottoporre al parlamento la questione dei dalit cristiani e musulmani". Tuttavia,
fa notare l’arcivescovo di Delhi, si tratta solo dell’ultima di molte promesse. Al
momento la questione è in mano alla Corte Suprema che attende una risposta affermativa
o negativa da parte del governo, per garantire pari diritti ai fuori casta cristiani
e musulmani. "La Corte agisce in accordo con una commissione, denominata Ragunath
Mishra Commission, che già quattro anni fa aveva sconsigliato al governo indiano di
prendere decisioni che favorissero uno specifico gruppo religioso. Vorremmo sapere
perché in quattro anni non è ancora giunta alcuna risposta: né negativa, né positiva".
Neanche le imminenti elezioni generali, che avranno luogo nella primavera del 2014,
lasciano intravedere una soluzione. "Noi incoraggiamo i nostri fedeli a votare per
i partiti di natura secolare, ma non sappiamo quali di questi sposeranno la causa
dei dalit cristiani e musulmani. Anni fa, quando aveva la maggioranza assoluta, il
congresso ha avuto la possibilità di risolvere la questione, ma ha preferito tergiversare
a scapito della giustizia". (T.C.)