Sud Sudan: condanna dell'Onu per le violenze, il presidente Kiir apre al dialogo
Forte preoccupazione della comunità internazionale per la grave situazione in Sud
Sudan. Le Nazioni Unite hanno condannato l'attacco alla base Onu di Akobo che ha causato
la morte di due caschi blu indiani e almeno venti civili. In una lettera, i vescovi
ed i leader religiosi della regione hanno fatto appello alla pace e alla riconciliazione,
invitando a guardare al conflitto non solo in termini di rivalità tra fazioni in lotta.
Intanto sembra aprirsi uno spiraglio nella crisi. Il servizio di Giulio Albanese:
Il presidente
del Sud Sudan Salva Kiir ha promesso di condurre ad un dialogo senza condizioni per
provare ad uscire dalla crisi armata che rischia di trascinare il Paese in una vera
e propria guerra civile. I violenti scontri di questi giorni sono stati causati dalla
rivalità tra il presidente Salva Kiir e l’ex vice presidente Riek Machar. Ma, dietro
le quinte - è inutile nasconderselo - si celano interessi stranieri legati al controllo
delle zone petrolifere. Non è da escludere che vi sia anche lo zampino di Khartoum
che ha sempre tentato di indebolire le regioni meridionali utilizzando la strategia
del divide et impera. In una dichiarazione, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ha
invitato i due leader sud sudanesi ad assumersi le loro responsabilità.
Prosegue
intanto il rimpatrio del personale di molti Paesi stranieri. In Sud Sudan sta giungendo
l’inviato speciale americano per la regione, Donald Booth, per favorire il dialogo
tra le fazioni rivali. Nel Paese il clima è di grande violenza come racconta Davide
Berruti, capo missione dell'Organizzazione umanitaria Intersos, intervistato da
Filippo Passantino:
R. - I combattimenti
coinvolgono in questo momento la città di Bor. Intersos ha una base, delle operazioni
in corso e fino a ieri notte, c’erano degli scontri che ci hanno costretto a rilocare
il nostro staff.
D. - Anche una vostra base è stata attaccata dai guerriglieri?
R.
- Purtroppo, è una cosa abbastanza normale in questi frangenti. Vengono portati via
i beni più strategici nei momenti di conflitto, cioè le auto e la benzina perché servono
per le operazioni. Sto verificando, insieme al mio staff, che per fortuna è rimasto
indenne, cosa è stato portato via tra computer e telefoni e che cosa invece è stato
salvato perché noi abbiamo appunto fatto evacuare lo staff poco prima, cercando di
portare via il materiale più importante. La cosa più importante è che ovviamente il
personale sia sano e salvo.
D. – Alcuni dei vostri cooperanti sono appena tornati
in Italia …
R. – Sì, ieri è stata una giornata abbastanza lunga e faticosa
perché abbiamo dovuto coordinare le operazioni per l’evacuazione. Le operazioni sono
durate tutta la giornata; abbiamo avuto diverse difficoltà tra le quali una chiusura
di un paio d’ore dell’aeroporto dovuto ad un aereo che si era rotto in mezzo alla
pista. Insomma, alla fine tutto è andato bene e abbiamo portato via una sessantina
di persone tra italiani e altri colleghi europei. Tutto il personale "non essenziale"
è stato rilocato; ovviamente alcuni di noi sono ancora qui.
D. - E quali attività
state svolgendo in questo momento?
R. - In questo momento le attività sono
tutte bloccate, perché tutta la catena logistica che sottintende alle operazioni umanitarie
è concentrata nell’evacuazione.
D. - Qual è la situazione della guerriglia?
R.
- Qui a Juba, dopo le giornate di lunedì e martedì in cui ci sono stati gli scontri,
la situazione è tranquilla. A Bor, nel Jonglei, come abbiamo detto, nei giorni scorsi
ci sono stati fortissimi scontri...
D. – Si sta sviluppando una vera e propria
guerra civile in questo momento …
R. – Purtroppo il conflitto è molto forte
e siamo molto preoccupati perché tutto questo concentrare l’attenzione su un ritorno
di conflittualità in tutti gli Stati - stanotte il mio staff mi ha chiamato; quindi
sarebbe il terzo focolaio di violenze che si apre in contemporanea - ci preoccupa
fortemente, perché il Sud Sudan è un Stato che ha bisogno di assistenza umanitaria.
C’è ancora gente che si trova in situazioni di grande vulnerabilità e questa violenza
non fa altro che peggiorare le cose.