Siria: al lavoro per "Ginevra 2", grande preoccupazione per i rapiti nel Paese
Sempre tesa la situazione in Siria, mentre la comunità internazionale è al lavoro
per la conferenza di Pace, cosiddetta "Ginevra 2", che si svolgerà il 22 gennaio.
In forse la partecipazione dell’Iran e di tutte le anime che compongono l’opposizione
siriana. Intanto, sarebbe di almeno 15 vittime e decine di feriti il bilancio provvisorio
di un bombardamento aereo del governo siriano su una localita' a ridosso delle Alture
del Golan. Ucciso, poi, ad Aleppo, anche un fotografo siriano freelance, che lavorava
per l'agenzia Reuters. E cresce la preoccupazione per la sorte delle suore rapite
nelle scorse settimane nella zona di Maalula, nel sud-ovest del Paese. Silenzio sugli
altri rapimenti di religiosi, due vescovi e tre sacerdoti, tra cui anche il gesuita
padre Paolo dall’Oglio. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Lorenzo Trombetta,
dell’Ansa di Beirut:
R. - È molto
difficile essere sicuri che il religioso, il prete, o la suora siano effettivamente
in quel luogo e detenuti da quella brigata, o da quel gruppo. In questo senso, l’insieme
di religiosi rapiti in Siria è un insieme molto molto composito ed è difficile fare
un discorso unico; lo stesso discorso sul mandante e sulla ragione per cui vengono
rapiti non sempre è lo stesso. La maggior parte dei casi, come avviene per tutti gli
altri rapiti in Siria – ormai se ne contano a migliaia e la maggior parte sono laici,
civili – avviene per questioni di denaro: i gruppi militari, le milizie - non soltanto
quelle ribelli ma anche quelle che fanno parte del fronte lealista - cercano di autofinanziarsi
con queste operazioni. In altri casi, si tratta di rapimenti politici: rapire un prete
ortodosso che idealmente viene considerato vicino alla Chiesa russa e alla politica
di Mosca in Medio Oriente, quindi favorevole al regime, può avere una valenza politica
piuttosto che soltanto economica.
D. – In ogni caso, i rapiti come merce di
scambio...
R. – Sì, i rapiti come merce di scambio sia economica che politica
e non è ovviamente una questione che riguarda soltanto la Siria o che riguarda solo
i religiosi che vengono rapiti in Siria. In questa situazione, anche se fossimo sul
territorio, è davvero difficile orientarci in un ginepraio di sigle e di formazioni
che spesso nascono la mattina e la sera già sono fuse in altre sigle, o sono completamente
strumentalizzate da attori politici non sempre locali. Purtroppo ci scontriamo con
una “nebbia” molto densa che ci rende tutti impotenti: i giornalisti in Siria ormai
rischiano la vita, quindi non mettono più in pericolo loro stessi per cercare di capire
chi rapisce chi.
D. – Come valutare il silenzio ed il tanto tempo che sta passando
per alcuni casi come quello di padre Dall’Oglio?
R. – Non è l’unico caso per
cui c’è molto silenzio, ci sono anche giornalisti occidentali rapiti da quasi un anno
più di Dall’Oglio. Nei casi di alcuni giornalisti rapiti, che si crede siano nelle
mani del regime, si presume che il regime non abbia interesse in questo momento a
far conoscere le sorti del rapito. Analogamente nel caso dei qaedisti dello Stato
islamico dell’Iraq e del Levante - che secondo le informazioni più aggiornate ancora
detengono padre Polo Dall’Oglio. La loro struttura, ben organizzata e gerarchica,
è anche molto impermeabile ad infiltrazioni e a tentativi di defezioni. Quindi, è
anche molto difficile dall’interno che qualcuno faccia trapelare informazioni, o dall’esterno
che qualcuno riesca a trovare un canale giusto per negoziare. Credo, come osservatore
della questione siriana, che la capacità organizzativa e l’impermeabilità della struttura
di questo gruppo qaedista renda molto difficile l’accesso a informazioni credibili
e verificabili sulla sorte di padre Polo Dall’Oglio. Chi lo detiene ha comunque interesse
affinché il silenzio rimanga: più il silenzio rimane, più il tempo passa, più il prezzo
politico o economico della sua liberazione si alza.