Cattura detenuti, Cancellieri: "Sistema funziona". Don Balducchi: mai negare possibilità
di recupero
Proseguono in Italia le polemiche sul sistema carcerario, nonostante la cattura, dei
due detenuti fuggiti nei giorni scorsi: un ex pentito di camorra e un serial killer,
evasi dopo un permesso premio. Il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri,
ha sottolineato che la cattura dei due uomini dimostra che “il sistema Paese funziona".
Sulla vicenda Antonella Pilia ha intervistato don Virginio Balducchi,
ispettore generale dei cappellani d’Italia:
R. - Sicuramente
queste sono due situazioni che preoccupano molto e probabilmente c’è stata anche qualche
disattenzione... Però, dall’altra parte, la Costituzione parla per chiunque di cammini
di possibilità di recupero. Quando succedono questi fatti si dimentica che ci sono
tante altre persone – anche con situazioni gravi – che stanno facendo dei percorsi
molto positivi, responsabilizzandosi verso la propria famiglia, riparando il danno
fatto, costruendo una capacità di riconciliazione sociale e anche personale molto
profonda. Purtroppo l’opinione pubblica viene informata soltanto quando qualcosa non
va e poco quando le cose stanno andando bene.
D. - Quindi è veramente possibile
un reinserimento sociale e lavorativo, anche per coloro che si sono macchiati di gravi
reati?
R. - Sicuramente noi non possiamo dire che questo non sia possibile,
perché ci sono stati dei detenuti che hanno mostrato un cambiamento molto forte nel
loro percorso di vita. Potrebbe darsi che alcune persone, che magari hanno anche problemi
di malattia mentale – come nel caso di uno degli evasi – debbano in ogni caso essere
seguite, accompagnate un po’ di più. Qualche rischio sicuramente si corre concedendo
permessi a questi detenuti, ma potremmo dire che, anche dal punto di vista cristiano,
il Padre Eterno rischia con chiunque di noi, fidandosi di noi. L’uomo è messo nella
condizione di fare delle scelte libere, che possono portare a scegliere il bene o
il male. Sicuramente il rischio è impossibile non correrlo, altrimenti vorrebbe dire
che se qualsiasi persona commettesse qualsiasi tipo di male, non potrebbe essere mai
recuperabile! Questo non è possibile dirlo né dal punto di vista cristiano né dal
punto di vista della Costituzione italiana.
D. - Al centro della cronaca c’è
anche lo stato delle carceri in Italia, ultima in Europa per numero di detenuti, sovraffollamento
e suicidi in carcere…
R. - Sono anni che la situazione delle carceri sta continuamente
deteriorandosi ed è chiaro che questo non permette, anche a coloro che stanno cercando
di fare il possibile, di seguire bene tutte le situazioni. Più persone ci sono concentrate
nel carcere, più le risorse umane in campo per aiutarle – anche nei cammini di cambiamento
– sono in difficoltà. Questo è dovuto al fatto che molto del male sociale – tossicodipendenti,
immigrazione clandestina e anche malati mentali – hanno oggi come una delle poche
soluzioni di cura il carcere. Questo non è possibile! E’ una pazzia! Devono essere
trovati degli strumenti di giustizia che aiutino le persone a prendere in mano la
propria situazione, che sia essa problema sociale dal punto di vista dell’immigrazione,
un problema socio-psicologico dal punto di vista della tossicodipendenza o il problema
di essere seguiti per i malati mentali. Il carcere non è la soluzione!
D. -
Come giudica le misure introdotte con il decreto carceri, approvato dal governo nei
giorni scorsi?
R. - Le norme varate puntano a fare in modo che la pena sia
svolta nel territorio e questo abbatte la concentrazione all’interno del carcere.
Non è la soluzione, ma è sicuramente un alleggerimento. Ed è l’indicazione che è possibile
compiere giustizia anche con strumenti diversi dalla detenzione. La mia speranza è
che questi strumenti diventino davvero praticabili – perché non è poi così semplice
– e mostrino alla gente comune che è possibile esercitare una giustizia senza costringere
le persone a stare in modo quasi completamente ozioso all’interno delle carceri, ma
ad assumere delle responsabilità che devono essere controllate – e questo il decreto
lo prevede – e si traducono in cammini di reinserimento sociale.