Adozioni internazionali: per le famiglie italiane bloccate in Congo occorre l'intervento
del governo
Potrebbe essere un Natale lontano da casa e in solitudine quello di 24 coppie italiane
partite per la Repubblica Democratica del Congo, alcune da quasi due mesi, per portare
a termine il proprio percorso di adozione e tuttora bloccate nel Paese africano che
intanto ha deciso di rivedere le procedure di adozione. Inutile finora l’intervento
del ministro dell’Integrazione, Kyenge. Si sono mobilitati diversi parlamentari e
il Coordinamento delle Associazione familiari adottive e affidatarie (Care). Gabriella
Ceraso ne ha parlato con la presidente, Monia Ferritti:
R. – La Repubblica
Democratica del Congo ha informato tutte le ambasciate in data 25 settembre che avrebbe
sospeso il rilascio dei permessi di uscita per i bambini adottati, dopodiché è cessata
la possibilità di delineare una lista di famiglie internazionali – non solo italiane,
quindi – che potessero arrivare nella Repubblica Democratica del Congo per perfezionare
l’adozione internazionale con i loro figli. Ventisei famiglie italiane sono partite,
in base a questa lista, ma non viene comunque rilasciato il visto di uscita.
D.
– Quando si potrebbe sbloccare la situazione? Quali sono quindi le speranze di queste
famiglie?
R. – Ma, io credo che sia importantissimo avviare un dialogo con
le autorità congolesi, perché si tratta veramente dell’ultima parte amministrativa
che blocca le nostre famiglie.
D. – Come Coordinamento delle associazioni delle
famiglie adottive, che cosa chiedete?
R. – Che venga invitata un’autorità congolese
qui in Italia al più presto - anzi: avrebbe dovuto essere già fatto – e avviare un
dialogo positivo e risolutorio. Chiediamo anche che il governo istituisca un fondo
di solidarietà per tutte quelle famiglie che permarranno a lungo e che sono veramente
stremate; in alcuni casi sono andate con i figli minori. Alcune vivono in istituti,
altre sono in condizioni alloggiative decisamente diverse.
D. – C’è anche una
componente di fiducia da parte della Repubblica Democratica del Congo, nei confronti
dell’Italia, o è solo una questione tecnica?
R. – E’ stata mostrata enorme
stima nei confronti del sistema-adozioni italiano e, quindi, credo che sia proprio
una necessità di costruire un dialogo alla luce di come si sono svolti i fatti fino
ad oggi.
D. – Che i Paesi di adozione decidano all’ultimo momento di bloccare
le pratiche, per svariati motivi, non è una prassi nuova vero? E, poi , quanto grava
sulle famiglie che adottano la fama di corruzione che vige in certi Paesi del mondo?
R.
– No, non è nuovo; purtroppo è una variabile da tenere in considerazione per tutti
i Paesi. La questione della corruzione in certi Paesi è un pensiero particolare, anche
perché in Italia le coppie possono adottare solamente attraverso gli enti autorizzati
per l’adozione internazionale, che comunque creano – nei Paesi dove vanno – un percorso
garantito.
D. – Ci sono state mai denunce di richieste di pagamenti non previsti
e anche in nero?
R. – Almeno da quando io sono commissario alla Commissione
adozioni internazionali, non mi risulta che sia mai stata all’ordine del giorno una
denuncia in tal senso. Vero è che i nostri enti autorizzati certificano tutte le spese
sostenute dalle coppie, in Italia e all’estero, a fronte di servizi realmente realizzati.
D.
– Quanto grava sulla situazione già complicata per i genitori che devono adottare
bambini che non sono, ovviamente, italiani, il taglio del 30 per cento al fondo per
l’infanzia, previsto dalla legge di stabilità?
R. – Ecco, questo è gravissimo,
anche perché l’Italia fa adozioni con bambini che hanno un’età media di sei anni,
molto spesso hanno disabilità intellettive o fisiche o comunque hanno molti margini
da recuperare e questo significa comunque un investimento di risorse economiche anche
dopo che il bambino è arrivato in casa. E poter recuperare parte delle spese sostenute
è un grande aiuto per le famiglie, che comunque hanno un esborso economico molto grave
che potrebbe perdurare anche nel tempo.