"E' compito mio": presentato l'audiolibro su Graziella Fumagalli, uccisa in Somalia
nel '95
Il compito che aveva scelto per se stessa era quello di stare accanto ai suoi pazienti,
per quel compito è morta. Sono passati 18 anni dall’assassinio di Graziella Fumagalli,
il medico di Lecco ucciso il 22 ottobre 1995 a Merca, in Somalia, da un commando,
mentre visitava un paziente nell’ospedale che dirigeva per conto della Caritas italiana.
Ieri, nella sede della nostra emittente, è stato presentato un audiolibro dedicato
alla vita della Fumagalli. Il servizio di Francesca Sabatinelli:
Solo una coincidenza,
ma che fa riflettere: che la morte di Graziella Fumagalli sia avvenuta domenica 22
ottobre, in occasione della Giornata missionaria mondiale. Era compito suo quel giorno
restare accanto ai suoi pazienti, nonostante il pericolo. Era compito suo alleviare
le loro sofferenze, a rischio della sua vita. Lo aveva anche ricordato, nel giorno
del suo funerale, il cardinale Carlo Maria Martini che disse: “Per tutta la vita aveva
coltivato questo sogno di essere utile al prossimo attraverso al sua professione di
medico. Le è toccata la stessa sorte di Gesù, che ha pagato con la vita il donarsi
senza riserve”. Oggi, a Graziella Fumagalli è stato dedicato l’undicesimo audiolibro
della Collana PhonoStorie, promosso da Caritas Italia e Rete Europea Risorse Umane
per Multimedia San Paolo Editore. “E’ compito mio” è il titolo di questa opera che
raccoglie parole e testimonianze di chi ha conosciuto la Fumagalli. Una delle prefazioni
è affidata a mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti:
R. – Era una
donna veramente di grande coraggio, di grande determinazione, ma nello stesso tempo
una persona che sapeva collaborare e che accoglieva la collaborazione degli altri.
Il ricordo è proprio di una persona dedita agli altri, ma che sapeva anche vivere
con gli altri.
D. – Noi che immagine ne riceviamo, da questo audiolibro, la
cui prefazione è stata affidata a lei?
R. – Io ho riassunto un po’ la sua vita,
la sua figura, con quella frase che usiamo nella Liturgia, alla fine della Messa:
“Glorificate il Signore con la vostra vita, andate in pace”. Era una frase che lei
amava moltissimo e questa frase esprime veramente il suo impegno di cristiana, di
donna medico.
D. – Quali tracce ha lasciato in Somalia questa donna?
R.
– Le tracce sono nella memoria di tutte quelle persone che sono passate attraverso
l’ospedale di Merca, l’ospedale specializzato nella lotta alla tubercolosi, la memoria
rimasta nelle persone che l’hanno conosciuta direttamente. Naturalmente, poi c’è anche
il ricordo di lei da parte nostra, non pazienti, che però l’abbiamo accompagnata in
quegli anni.
D. – Il Paese sta cercando di uscire da 23 anni di caos, di anarchia,
di distruzione: a che punto è?
R. – Il Paese sta cercando di rinascere, sono
rinate alcune istituzioni dello Stato che sono però ancora molto fragili. Qualche
passo in avanti è stato fatto, ma ha bisogno di essere continuamente appoggiato e
sostenuto dalla comunità internazionale e, soprattutto, dai somali stessi. Devono
pensare che l’esperienza dell’anarchia è un’esperienza pericolosa, soprattutto per
la maggioranza della popolazione. Bisogna mettersela alle spalle e far sì che appoggino
loro stessi questo governo che, per il momento, ha un grande sostegno dal punto di
vista internazionale, mentre ho l’impressione che a livello nazionale ancora non sia
bene appoggiato. Ho comunque la speranza che forse la Somalia stia per rinascere dalle
proprie ceneri.
“E’ compito mio” si basa principalmente su un libro che Paolo
Brivio, giornalista di Lecco, scrisse sulla vita della dottoressa, cinque anni
dopo la sua uccisione:
R. – La notizia della sua morte ci sorprese. Noi giornalisti
ci telefonammo nel pomeriggio, dopo avere appreso dai telegiornali dell’omicidio,
chiedendoci chi fosse questa Graziella Fumagalli di cui, pur lavorando al giornale
diocesano, non avevamo mai sentito parlare, ed era una circostanza abbastanza inverosimile
perché in un giornale diocesano arrivano ogni giorno notizie, informazioni, sollecitazioni,
comunicati di gruppi missionari che sostengono missionari religiosi e laici impegnati
ai quattro angoli del mondo e Lecco è un territorio che, da questo punto di vista,
ha una grande ricchezza. Ma della Fumagalli nessuno sapeva nulla. Avrei scoperto negli
anni successivi, scrivendo la sua biografia, che questo si doveva alla grande riservatezza
pari solo alla determinazione che lei aveva nel suo lavoro e con la quale conduceva
il suo servizio.
D. – Questa sua riservatezza in qualche modo ha dato il titolo
al tuo libro: “Ho nascosto il mio volto”, dal quale sono tratti alcuni brani che sono
andati a comporre l’audiolibro. Che cosa ci racconta?
R. – Ci racconta, come
dice il titolo dell’audiolibro, “E’ compito mio”, soprattutto un aspetto della vicenda
di Graziella Fumagalli. Secondo me, il messaggio fondamentale che ci ha lasciato Graziella
è quello di guardare innanzitutto al proprio compito. Lei aveva un forte senso del
dovere e della responsabilità che esercitava in modo però non moralista e non con
eccessiva rigidità. Era una persona che sapeva scherzare, sapeva creare squadra, sapeva
coltivare le relazioni umane. Aveva però questo forte senso del lavoro e del dovere,
che l’ha condotta a convertire e orientare tutta la sua vita a uno scopo ben preciso.
Lei era entrata in fabbrica da ragazzina perché la famiglia aveva bisogno che lavorasse,
aveva poi interrotto il lavoro, si era pagata gli studi liceali, universitari e si
era specializzata in Francia con un sogno ben preciso sin dall’inizio: andare in Africa
come medico. Riuscì a realizzarlo solo a 40 anni e a 45 fu uccisa. Cinque anni della
sua vita a cui però tese tutta la parte precedente della sua vita. Era la missione
che si era imposta, era un compito che ha pagato con la vita trovandosi di fronte
a questa scelta: andarsene e non esporre se stessa e i suoi collaboratori alla violenza
che sapeva possibile, oppure continuare a provare a salvaguardare le sorti dell’ospedale
e quindi dei malati? Lei disse: “Questi malati, se non li curiamo noi non li cura
nessuno: è compito mio rimanere accanto a loro”, e questo compito l’ha pagato con
la vita.