Thailandia: la crisi continua, non si attenua la tensione
Nessun risultato risolutivo dai due incontri di sabato e domenica a Bangkok. Il primo
convocato dalle forze armate a cui hanno partecipato i leader della protesta che da
settimane coinvolge il paese, accademici e esponenti della comunità economica; il
secondo organizzato ieri dal governo, con vari gruppi della società civile e della
politica come forum per individuare possibili riforme dopo il voto anticipato del
2 Febbraio 2014. Un voto - riferisce l'agenzia Misna - che l’opposizione disconosce,
proponendo in alternativa le dimissioni del governo guidato dalla signora Yingluck
Shinawatra e un percorso istituzionale alternativo che porti entro un anno a una nuova
costituzione, un nuovo parlamento e un nuovo governo in base a riforme profonde del
sistema. L’attesa opinione dei vertici militari sulla crisi e su una possibile soluzione
è stata abbastanza netta e per certi aspetti inattesa. Sebbene sfumata nei toni e
nelle espressioni, è sembrata indicare un favore verso il governo provvisorio in carica
il voto di febbraio e eventuali riforme successive. Alla fine di favorire, più che
il dialogo, lo status quo che però consentirebbe la gestione del Paese – anche a seguito
di una successiva, probabile, nuova vittoria elettorale – al Puea Thai, partito legato
all’esperienza politica di Thaksin Shinawatra, ex premier in esilio, la cui uscita
di scena è uno degli obiettivi dichiarati dei manifestanti. Manifestanti sempre presenti
attorno al Monumento alla Democrazia, che oggi hanno minacciato una nuova azione di
massa nelle piazze della capitale e altrove per chiarire il proprio disaccordo. Sostanzialmente,
una situazione di stallo, ma che proprio per questo non solo sta creando enormi difficoltà
all’economia, già in frenata per scelte governative e situazione globale, ma rischia
di accendere focolai di rivolta se non di aperta rivoluzione, oltre che di creare
occasioni insieme per atti violenti e per la repressione. All’affermazione dei responsabili
della sicurezza nella crisi che 42 Paesi appoggerebbero il voto del 2 febbraio e il
ruolo dell’esecutivo ad interim, gli anti-governativi, per voce di uno dei leader,
hanno prospettato sabato anche l’occupazione dell’ambasciata Usa a Bangkok per protestare
contro quelle che ritengono ingerenze straniere nella crisi nazionale. Esiste indubbiamente
un problema di prospettiva esterna, non necessariamente coincidente con una realtà
complessa come quella locale. Formalmente, infatti, il governo in carica, per il fatto
di essere stato votato dalla maggioranza di quanti si sono recati alle urne (quasi
16 milioni, 48,41% dei votanti, a loro volta il 75% degli aventi diritto) e per il
fatto di esprimere ideali più populisti e meno nazionalistici, ha le preferenze di
molti governi e media. D’altra parte, accusa l’opposizione, il voto è stato almeno
in parte manipolato e dalla vittoria nel luglio 2011, il governo ha agito in modo
autocratico e anche dipendente dall’influenza dell’ex premier, in esilio per evitare
di scontare due anni di carcere per abuso di potere, incentivando ampi sprechi di
denaro pubblico, partigianeria e corruzione dilaganti. (R.P.)