2013-12-16 12:16:02

Thailandia: la crisi continua, non si attenua la tensione


Nessun risultato risolutivo dai due incontri di sabato e domenica a Bangkok. Il primo convocato dalle forze armate a cui hanno partecipato i leader della protesta che da settimane coinvolge il paese, accademici e esponenti della comunità economica; il secondo organizzato ieri dal governo, con vari gruppi della società civile e della politica come forum per individuare possibili riforme dopo il voto anticipato del 2 Febbraio 2014. Un voto - riferisce l'agenzia Misna - che l’opposizione disconosce, proponendo in alternativa le dimissioni del governo guidato dalla signora Yingluck Shinawatra e un percorso istituzionale alternativo che porti entro un anno a una nuova costituzione, un nuovo parlamento e un nuovo governo in base a riforme profonde del sistema. L’attesa opinione dei vertici militari sulla crisi e su una possibile soluzione è stata abbastanza netta e per certi aspetti inattesa. Sebbene sfumata nei toni e nelle espressioni, è sembrata indicare un favore verso il governo provvisorio in carica il voto di febbraio e eventuali riforme successive. Alla fine di favorire, più che il dialogo, lo status quo che però consentirebbe la gestione del Paese – anche a seguito di una successiva, probabile, nuova vittoria elettorale – al Puea Thai, partito legato all’esperienza politica di Thaksin Shinawatra, ex premier in esilio, la cui uscita di scena è uno degli obiettivi dichiarati dei manifestanti. Manifestanti sempre presenti attorno al Monumento alla Democrazia, che oggi hanno minacciato una nuova azione di massa nelle piazze della capitale e altrove per chiarire il proprio disaccordo. Sostanzialmente, una situazione di stallo, ma che proprio per questo non solo sta creando enormi difficoltà all’economia, già in frenata per scelte governative e situazione globale, ma rischia di accendere focolai di rivolta se non di aperta rivoluzione, oltre che di creare occasioni insieme per atti violenti e per la repressione. All’affermazione dei responsabili della sicurezza nella crisi che 42 Paesi appoggerebbero il voto del 2 febbraio e il ruolo dell’esecutivo ad interim, gli anti-governativi, per voce di uno dei leader, hanno prospettato sabato anche l’occupazione dell’ambasciata Usa a Bangkok per protestare contro quelle che ritengono ingerenze straniere nella crisi nazionale. Esiste indubbiamente un problema di prospettiva esterna, non necessariamente coincidente con una realtà complessa come quella locale. Formalmente, infatti, il governo in carica, per il fatto di essere stato votato dalla maggioranza di quanti si sono recati alle urne (quasi 16 milioni, 48,41% dei votanti, a loro volta il 75% degli aventi diritto) e per il fatto di esprimere ideali più populisti e meno nazionalistici, ha le preferenze di molti governi e media. D’altra parte, accusa l’opposizione, il voto è stato almeno in parte manipolato e dalla vittoria nel luglio 2011, il governo ha agito in modo autocratico e anche dipendente dall’influenza dell’ex premier, in esilio per evitare di scontare due anni di carcere per abuso di potere, incentivando ampi sprechi di denaro pubblico, partigianeria e corruzione dilaganti. (R.P.)







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