Afghanistan: nel 2014 il ritiro delle forze internazionali. Le reazioni della società
civile
Entro la fine del 2014 l’Afghanistan vedrà il ritiro totale del contingente Nato.
Per capire come la società civile afgana affronta questo delicato periodo di transizione
il giornalista e ricercatore Giuliano Battiston ha condotto una ricerca sul campo
per conto della rete Afgana, in partenariato con una serie di associazioni e col finanziamento
del Ministero degli Esteri. L’indagine è stata presentata alla Farnesina. Il servizio
è di Elvira Ragosta:
La fase più
delicata per l’Afghanistan sarà quella tra il 2014 e il 2015, con il ritiro completo
delle forze internazionali e le nuove elezioni presidenziali. Centrotrenta le interviste
realizzate ad altrettante persone, scelte in rappresentanza dei gruppi identificativi
della società afgana, in sette province diverse del Paese e prevalentemente in ambiti
urbani. Le domande: sulle cause interne ed esterne del conflitto, sul processo di
pace e sulla riconciliazione con i talebani, che saranno ammessi al governo del territorio.
Giuliano Battiston, responsabile della ricerca:
R. – C’è una forte voglia
di pace, c’è un forte sostegno per il negoziato politico con i movimenti antigovernativi
e quindi con i talebani. Però c’è una critica radicale al modo in cui sia il governo
afghano che la Comunità internazionale stanno portando avanti questo negoziato. Gli
interlocutori incontrati chiedono chiarezza, trasparenza sui metodi e sugli obiettivi
finali del negoziato.
D. – Con il ritiro delle truppe internazionali Nato
servirebbero alle forze armate afghane locali 4,1 miliardi di dollari che sia gli
Stati Unti che gli altri Paesi delle forze internazionali si sono impegnati ad elargire,
ma ad un patto fondamentale…
R. – Sì! Il patto è che il governo afghano, in
qualche modo, metta in piedi delle riforme che garantiscano la battaglia contro la
corruzione, che è molto diffusa nel Paese; e poi che accettino il patto bilaterale
di sicurezza con gli Stati Uniti: altrimenti né gli Stati Uniti, né i Paesi della
Nato vorranno destinare le risorse impegnate nella Conferenza di Chicago del maggio
del 2012.
D. – Un patto che Karzai rimanda ancora oggi, che sarebbe elemento
fondamentale anche per i Paesi Nato…
R. – Sì. Karzai su questo ha fatto una
mossa inaspettata: ci si aspettava che dopo il sostegno della Loya Jirga - la grande
assemblea - al Patto bilaterale di sicurezza, in qualche modo Karzai incassasse il
“sì” e procedesse verso la ratifica. Invece ha detto di “no” e ha chiesto altre condizioni,
tra cui un impegno maggiore degli Stati Uniti per il negoziato di pace.
D.
- Se le forze internazionali attualmente in campo in Afghanistan non dovessero supportare
il sistema delle forze armate locali e anche gli investimenti per la popolazione civile,
quali sarebbero gli attori geo-politicamente vicini a poter approfittare della situazione?
R.
– Karzai sta cercando sponde politiche non solo con i Paesi dell’area: proprio di
questi giorni è un viaggio di tre giorni in India, uno dei partner principali dal
punto di vista commerciale e politico. C’è poi il Pakistan, con cui c’è un rapporto
molto ambivalente: per gli afghani il Pakistan è un Paese che alimenta il conflitto,
che lo fomenta, che contribuisce ai movimenti antigovernativi. C’è poi un rapporto
con l’Iran, anche in questo caso molto equivoco e controverso. In ogni caso la scelta
dell’Afghanistan è tra ricollocarsi dentro la cornice asiatica oppure aprirsi alla
Nato e quindi ai Paesi occidentali.
Alla fine del 2014 la sicurezza del territorio
tornerà totalmente sotto il controllo delle forze armate locali. Dopo la firma dell’Accordo
di sicurezza con gli Stati Uniti arriverà anche l’aiuto economico dei 70 Paesi Isaf
e l’Afghanistan potrebbe avviarsi verso una pace durevole. Francesco Fransoni,
inviato speciale del ministero degli Esteri per l’Afghanistan:
“Ritengo
che una presenza occidentale rimarrà: molto diversa, no combat si dice in termine
Nato. Formazione, addestramento, assistenza e via dicendo, ma ormai da mesi la sicurezza
è nella mani delle forze afghane. Certo le perdite aumentano, perché in prima linea
da mesi ci sono loro. E’ un Paese che viene da 30 anni di guerra civile e quindi chiaramente
è un Paese devastato. Non è che ci possiamo attendere standard occidentali”.