Villa Manin: grande retrospettiva del fotoreporter Rober Capa a 100 anni dalla nascita
Nel centenario della nascita, una grande retrospettiva dedicata al celebre fotoreporter
ungherese, Robert Capa, è in corso fino al prossimo 19 gennaio a Villa Manin di Passariano,
in provincia di Udine. La mostra, voluta dalla Regione autonoma Friuli Venezia Giulia
e realizzata dall’Azienda speciale Villa Manin in collaborazione con l'agenzia Magnum
Photos di Parigi e con l'International Center of Photography di New York, attraversa
tutte le principali esperienze di Capa: gli anni parigini, la Guerra civile spagnola,
quella fra Cina e Giappone, la Seconda guerra mondiale con lo sbarco in Normandia,
la Russia del secondo dopoguerra, la nascita dello stato di Israele e, infine, il
conflitto in Indocina, dove morirà prematuramente nel 1954. Ma tra le 180 fotografie
esposte ci sono anche quelle riferite ad un aspetto meno noto del lavoro di Robert
Capa, quello di cineasta e di fotografo di scena. Ma che cosa ha fatto di lui un grande
fotografo? Adriana Masotti lo ha chiesto a Marco Minuz, curatore della
mostra che ha per titolo: "La realtà di fronte":
R. - Ci sono
due termini che definiscono molto bene il lavoro di Robert Capa. Il primo è il coraggio
che è la dimensione fondamentale per capire tutto il suo lavoro. In effetti, fin dalla
prima sua esperienza bellica - la Guerra civile spagnola, dove partecipò direttamente
- Robert Capa fu sempre in prima linea. Altro elemento estremamente significativo
che permette di capire proprio la profondità del suo lavoro è ricollegabile ad una
parola: amore. In tutto il suo lavoro infatti c’è questa forte componente di vicinanza
rispetto a tutte quelle persone che ritraeva con la sua macchina, ma che erano vittime
di quelle sciagure belliche.
D. - Che tipo di sguardo era quello di Robert
Capa, che cosa destava il suo interesse e cosa voleva dire con i suoi scatti?
R.
- C’era sempre in lui questa volontà di ritrarre l’anima più profonda che univa tutte
le persone che ovviamente erano coinvolte all’interno di un conflitto bellico. Quindi,
c’è una precisa sensibilità di avvicinarsi il più possibile: una vicinanza dal punto
di vista fisico, perché con la macchina fotografica si avvicinava molto al fronte;
contemporaneamente anche una vicinanza per quanto riguarda i sentimenti che in quel
momento quelle persone vivevano.
D. - Partecipazione alle persone e agli eventi
che gli ha fatto fare con coraggio, come diceva appunto lei, azioni spericolate che
hanno poi portato anche alla morte stessa di Robert Capa…
R. - Nel 1954 - aveva
solo 40 anni - viene invitato in Giappone per l’avvio di un progetto fotografico e
lì riceve la telefonata da parte della rivista americana Life - con cui collaborava
ormai da molti anni - che lo invitava per un mese a sostituire un collega in Indocina.
Lui decide di partire e di recarsi in Indocina. E lì, il 25 maggio del 1954, perderà
la vita camminando all’interno di una distesa dietro ad un convoglio militare e calpestando
una mina antiuomo.
D. - Può descriverci una o due foto tra le più interessanti
della mostra?
R. - Sicuramente la prima è “Morte del miliziano spagnolo”: fotografia
scattata accidentalmente nel 1937 in cui Robert Capa, che si trovava all’interno di
una trincea, sente il rumore di alcuni spari, alza la macchina fotografica sopra la
sua testa e scatta alcune fotografie. Quando, poi sviluppa queste fotografie, si accorge
di aver ritratto il momento in cui un soldato repubblicano spagnolo viene colpito,
proprio nell’istante in cui perde la vita. E’ una fotografia estremamente importante,
di cui si è discusso molto sulla veridicità. Da una serie di approfondite ricerche
e studi oggi siamo certi che quella foto è stata un momento decisivo, reale, di verità.
Un’altra fotografia, forse meno conosciuta dal grande pubblico, è una fotografia di
Ingrid Bergman: nel 1945 - al termine della Seconda Guerra mondiale - all’hotel Ritz
conosce questa straordinaria donna e da lì inizia una storia d’amore. L’attrice svedese
invitò poi Robert Capa a spostarsi ad Hollywood e lì lui realizza una serie di fotografie
all’interno del set cinematografico “Notorious” di Hitchcock, dove una delle protagoniste
era appunto Ingrid Bergman.
D. - A Villa Manin oltre alla mostra, per tutto
il periodo si susseguono incontri con studiosi, fotografi, registi… un calendario
molto ricco fino a gennaio…
R. - Sì, la nostra volontà non era fermarci esclusivamente
al percorso espositivo ma creare una vera e propria “piattaforma” di approfondimento,
legata alla vita ed al lavoro di Robert Capa. Ecco che quindi, in queste settimane
ci saranno una serie di appuntamenti, di approfondimenti, di proiezioni di documentari.
Ne cito uno per tutti: alcune settimane fa abbiamo avuto il grande fotografo italiano
Mario Rionero che ha discusso di questa celebre fotografia di cui accennavo che è
“Morte del miliziano spagnolo”.