Iraq, primo pellegrinaggio dell'Opera Romana dopo la guerra. Mons. Andreatta: segno
di speranza
E' iniziato nel sud dell'Iraq il primo pellegrinaggio organizzato, dopo la guerra,
dall’Opera Romana Pellegrinaggi. I pellegrini sono stati accolti con grande entusiasmo
e speranza dalle autorità locali e dalla popolazione cristiana e musulmana irachena.
Sul significato di questo evento, Paolo Ondarza ha sentito mons. Liberio
Andreatta, vicepresidente dell'Opera Romana, raggiunto telefonicamente a Nassiriya:
R. - Ridona
molta speranza perché quando in un Paese c’è la guerra, non c’è la libertà ma c’è
la sofferenza. La prima cosa che fanno è chiudere le frontiere, quindi un Paese soffre
enormemente non solo della privazione della libertà e di una mancanza di speranza
nel futuro ma soffre anche di grandi difficoltà economiche. Quindi, questa apertura,
questo pellegrinaggio fa nascere una speranza nel cuore degli iracheni i quali immediatamente,
come reazione psicologica, dicono: “Allora la libertà è possibile! Allora possiamo
avere un futuro…”.
D. - Voi vi recate in quelli che sono i luoghi simbolo legati
alle Sacre Scritture…
R. - Esatto. Tutto è cominciato lì. Noi andiamo a ricominciare
da dove tutto è cominciato: questa è stata la culla delle civiltà, di tante civiltà
che si sono susseguite. Qui Dio ha chiamato Abramo e gli ha detto: “Lascia la tua
terra e va…”. Quindi, siamo tutti figli di Abramo, comune padre nella fede delle tre
grandi religioni monoteiste.
D. - I segni della devastazione, i segni della
guerra di questi ultimi anni sono visibili?
R. - A dire la verità, segni di
distruzione noi non li abbiamo visti. Abbiamo visto i segni della miseria, questo
sì. Segni di una situazione di disagio, segni di protezione e messa in sicurezza.
Segni di vera e propria distruzione al Sud non li abbiamo visti.
D. - Dieci
anni fa veniva catturato Saddam Hussein, da allora sappiamo che però la situazione
non è rientrata nella normalità per quanto riguarda la sicurezza; ancora c’è instabilità
nel Paese…
R. - Noi abbiamo fatto anche tante domande, perché arrivando abbiamo
visto che sul piano della sicurezza non ci sono problemi - si può attraversare la
città - ma i problemi di sicurezza sussistono soprattutto ancora al Nord. Quindi,
al Sud dell’Iraq - tutta la zona di Babilonia, la zona di Ur degli antichi sumeri,
tra il Tigri e l’Eufrate, nella zona proprio più antica - si può venire tranquillamente.
Quindi, un pellegrinaggio al Sud dell’Iraq è possibile ma è ancora probabilmente prematuro
- almeno da quello che ci dicono – recarsi a Ninive e nella parte del Nord dell’Iraq.
R. - Ritiene che la vostra presenza al Sud possa in qualche modo anche dare
un incoraggiamento a chi vive in quelle zone più travagliate del Paese?
D.
- Questo ce l’hanno detto e ripetuto continuamente non solo le autorità civili, non
solo le autorità religiose, ma anche la popolazione che abbiamo incontrato, soprattutto
la comunità cristiana. Noi ci proviamo; laddove non sono riuscite le “teste” della
diplomazia internazionale a normalizzare il Paese e portare la pace, ci provano il
cuore e le gambe dei pellegrini.
D. - Sarà di conforto per i tanti cristiani
che coraggiosamente sono rimasti nel Paese: ricordiamo la diaspora seguita alla guerra
in Iraq…
R. - Certamente, è una ferita molto grande. Questo abbandono e la
fuga sono una ferita che sentono profondamente soprattutto i parenti che anche oggi
ce lo dicevano. Chissà se con il ritorno alla normalizzazione dei pellegrinaggi, potranno
tornare anche i nostri figli, i nostri fratelli ed anche i nostri fratelli di fede.