2013-12-14 12:21:33

Iraq, primo pellegrinaggio dell'Opera Romana dopo la guerra. Mons. Andreatta: segno di speranza


E' iniziato nel sud dell'Iraq il primo pellegrinaggio organizzato, dopo la guerra, dall’Opera Romana Pellegrinaggi. I pellegrini sono stati accolti con grande entusiasmo e speranza dalle autorità locali e dalla popolazione cristiana e musulmana irachena. Sul significato di questo evento, Paolo Ondarza ha sentito mons. Liberio Andreatta, vicepresidente dell'Opera Romana, raggiunto telefonicamente a Nassiriya:RealAudioMP3

R. - Ridona molta speranza perché quando in un Paese c’è la guerra, non c’è la libertà ma c’è la sofferenza. La prima cosa che fanno è chiudere le frontiere, quindi un Paese soffre enormemente non solo della privazione della libertà e di una mancanza di speranza nel futuro ma soffre anche di grandi difficoltà economiche. Quindi, questa apertura, questo pellegrinaggio fa nascere una speranza nel cuore degli iracheni i quali immediatamente, come reazione psicologica, dicono: “Allora la libertà è possibile! Allora possiamo avere un futuro…”.

D. - Voi vi recate in quelli che sono i luoghi simbolo legati alle Sacre Scritture…

R. - Esatto. Tutto è cominciato lì. Noi andiamo a ricominciare da dove tutto è cominciato: questa è stata la culla delle civiltà, di tante civiltà che si sono susseguite. Qui Dio ha chiamato Abramo e gli ha detto: “Lascia la tua terra e va…”. Quindi, siamo tutti figli di Abramo, comune padre nella fede delle tre grandi religioni monoteiste.

D. - I segni della devastazione, i segni della guerra di questi ultimi anni sono visibili?

R. - A dire la verità, segni di distruzione noi non li abbiamo visti. Abbiamo visto i segni della miseria, questo sì. Segni di una situazione di disagio, segni di protezione e messa in sicurezza. Segni di vera e propria distruzione al Sud non li abbiamo visti.

D. - Dieci anni fa veniva catturato Saddam Hussein, da allora sappiamo che però la situazione non è rientrata nella normalità per quanto riguarda la sicurezza; ancora c’è instabilità nel Paese…

R. - Noi abbiamo fatto anche tante domande, perché arrivando abbiamo visto che sul piano della sicurezza non ci sono problemi - si può attraversare la città - ma i problemi di sicurezza sussistono soprattutto ancora al Nord. Quindi, al Sud dell’Iraq - tutta la zona di Babilonia, la zona di Ur degli antichi sumeri, tra il Tigri e l’Eufrate, nella zona proprio più antica - si può venire tranquillamente. Quindi, un pellegrinaggio al Sud dell’Iraq è possibile ma è ancora probabilmente prematuro - almeno da quello che ci dicono – recarsi a Ninive e nella parte del Nord dell’Iraq.

R. - Ritiene che la vostra presenza al Sud possa in qualche modo anche dare un incoraggiamento a chi vive in quelle zone più travagliate del Paese?

D. - Questo ce l’hanno detto e ripetuto continuamente non solo le autorità civili, non solo le autorità religiose, ma anche la popolazione che abbiamo incontrato, soprattutto la comunità cristiana. Noi ci proviamo; laddove non sono riuscite le “teste” della diplomazia internazionale a normalizzare il Paese e portare la pace, ci provano il cuore e le gambe dei pellegrini.

D. - Sarà di conforto per i tanti cristiani che coraggiosamente sono rimasti nel Paese: ricordiamo la diaspora seguita alla guerra in Iraq…

R. - Certamente, è una ferita molto grande. Questo abbandono e la fuga sono una ferita che sentono profondamente soprattutto i parenti che anche oggi ce lo dicevano. Chissà se con il ritorno alla normalizzazione dei pellegrinaggi, potranno tornare anche i nostri figli, i nostri fratelli ed anche i nostri fratelli di fede.







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