Yemen. Al Qaeda rivendica l'attentato al Ministero della Difesa
Al Qaeda nella penisola arabica ha rivendicato l'attacco al ministero della Difesa
dello Yemen, che ha causato giovedì la morte di 52 persone e il ferimento di altre
162. Secondo quanto reso noto via Twitter dal portavoce dell’organizzazione terroristica,
il complesso nel centro di Sanaa è stato assaltato perché sede delle sale di controllo
dei droni Usa. Nel frattempo, il ministro della Difesa yemenita ha fatto sapere che
l’esercito ha ripreso il controllo sull’area e che undici terroristi sono morti durante
l’assalto. Cecilia Sabelli ha intervistato Farian Sabahi, editorialista
del Corriere della Sera e autrice del libro “Storia dello Yemen”, in diretto contatto
con alcune fonti locali:
R. – E’ una
situazione drammatica, anche perché i terroristi hanno continuato a sparare per ore
e in un palazzo vicino c’erano medici italiani che stavano tenendo lezione ad alcuni
studenti di medicina. L'attacco è stato molto bene orchestrato: un’autobomba ha sfondato
i cancelli nella città vecchia di Babel Yemen, proprio in occasione della visita di
Mohammed Nasir, ministro della difesa, a Washington. Dopodiché, un’altra automobile
è arrivata dentro l’ospedale militare e alcuni terroristi hanno fatto irruzione nella
sala operatoria, uccidendo due chirurghi e il paziente che era sul tavolo operatorio
in quel momento. E’ stata una battaglia molto cruenta che, tra l’altro, ha provocato
la morte di sette persone tra medici e infermieri stranieri e questo, ovviamente,
avrà un impatto sulla cooperazione internazionale.
D. – All’indomani di questi
attentati, può dirci qual è la situazione generale che il Paese sta affrontando?
R.
– E’ una fase di transizione quella che si sta vivendo oggi nello Yemen: a febbraio
sono previste le elezioni presidenziali e soprattutto il dialogo nazionale dopo la
Primavera araba ha portato al tavolo dei negoziati tutte le fazioni dello Yemen, sia
le fazioni dell’ex presidente Saleh, sia le fazioni che un tempo erano all’opposizione
e che oggi invece hanno un ruolo. L’unico gruppo rimasto escluso è stato al Qaeda,
che, appunto, oggi ha rivendicato questo attentato.
D. – La Premio Nobel yemenita,
Taakkul Karman, ha accusato tempo fa il precedente governo di aver favorito l’espansione
di al Qaeda per eliminare i suoi nemici e ottenere maggiori aiuti dalla comunità internazionale.
Qual è, in questa fase di transizione di cui stiamo parlando, il ruolo giocato da
al Qaeda?
R. – Ricordiamo che il presidente Saleh aveva instaurato una partnership
con l’Occidente e ancora oggi, anche se Saleh ha ceduto il testimone al suo vice,
Hadi Mansur, di fatto in Yemen, ai vertici dell’unica Repubblica della penisola araba,
rimangono gli uomini di Saleh: tutti i suoi parenti, i suoi nipoti… Saleh comunque
è stato messo in disparte, c’è una transizione importante e non bisogna dimenticare
che al tavolo dei negoziati per il dialogo nazionale hanno discusso anche i secessionisti
e i ribelli: appunto, tutte le forze tranne al Qaeda. Oggi, al Qaeda ha un ruolo importante
in Yemen perché usa il Paese come base di lancio per attaccare l’Occidente, ma cerca
anche di intimidire la popolazione locale per dimostrare che non ci può essere pace
in Yemen. Al Qaeda, in questo momento, sta cercando di delegittimare il dialogo nazionale,
questo processo che sta cercando di far crescere lo Yemen dopo la "primavera araba"
locale.
D. – Come vive questa situazione il popolo yemenita, che dal 2006 chiede
attraverso manifestazioni – anche una rivoluzione – riforme politiche e il rispetto
dei diritti umani?
R. – La popolazione yemenita è la più povera tra i Paesi
arabi, il reddito minimo pro-capite è molto basso: si parla di 1.000 euro pro capite
l’anno. E' una popolazione che ha problemi legati al qāt, che è una droga,
ci sono problemi legati all’acqua e le risorse petrolifere sono molto poche… Quindi,
è sicuramente un Paese molto povero, ma è anche un Paese estremamente tradizionale:
è un Paese dilaniato da guerre civili, è un Paese che, comunque, è Repubblica da soltanto
qualche decennio. E’ un Paese che può sembrare marginale, ma che in realtà è molto
importante per la comunità internazionale – anche per l’Italia – perché da Bab el-Mandeb,
da quelle porte di Mandeb che portano al Mar Rosso, transitano buona parte dei barili
che servono poi, di fatto, all’Europa.