Bosnia-Erzegovina. La denuncia di un vescovo sulle discriminazioni subite dai cattolici
Torna a denunciare le gravi discriminazioni subite dai cattolici di etnia croata che
vivono in Bosnia-Erzegovina, mons. Franjo Komarica, vescovo di Banja Luka, cittadina
nel nordest bosniaco e capitale de facto della Repubblica Srpska, e lo fa con
Aiuto alla Chiesa che Soffre. “I politici occidentali devono esercitare pressioni
sul governo, affinché permetta ai rifugiati cattolici di tornare finalmente a casa”,
è il suo accorato appello sulla sorte di oltre quattromila famiglie cattoliche che,
a 15 anni dalla fine della guerra nella ex Jugoslavia, non possono ancora ritornare
nelle proprie case e non hanno nessuno che si occupi ufficialmente di loro. “Soltanto
5.800 degli oltre 70 mila cattolici cacciati dalla nostra diocesi prima del 1991 sono
potuti tornare, possibilità che invece hanno avuto oltre 250 mila musulmani”, è la
sua testimonianza, che riferisce anche una situazione di estrema instabilità negli
accordi di Dayton, il patto che nel 1995 oltre a sancire la fine del conflitto, decise
la suddivisione della Bosnia-Erzegovina tra Federazione croato-musulmana e Repubblica
serba di Bosnia. “Il Paese è stato diviso arbitrariamente e l’unico futuro possibile
è un caos sociale e politico controllato da Unione Europea e Stati Uniti; un tradimento
dei valori e dei principi europei, un fallimento della comunità internazionale e una
disgrazia per la politica nazionale”. Allo stato attuale, la Chiesa cattolica è l’unica
che cerca di rispondere ai bisogni della comunità cattolica locale attraverso il sostegno
alle scuole in cui bambini di etnie diverse studiano insieme, e attraverso progetti
di carattere educativo e sociale. (R.B.)