Bagno di sangue in Centrafrica, sì dell'Onu all'invio di truppe francesi
Bagno di sangue in Centrafrica dove sono in corso scontri tra gli ex ribelli islamisti
del Fronte Seleka, e i combattenti rimasti fedeli al deposto presidente Francois Bozizè.
Fonti umanitarie parlano di almeno 150 morti. Intanto il Consiglio di Sicurezza dell’Onu
ha approvato la risoluzione che autorizza l’intervento delle truppe francesi e dell’Unione
africana per fermare l’escalation di violenza e Parigi ha già schierato a Bangui altri
250 soldati. Cecilia Seppia:
Per le strade,
negli ospedali, persino in una moschea nel centro della capitale: dovunque ci sono
cadaveri e feriti ma gli scontri tra i ribelli Seleka attualmente alla guida del Centrafrica
e i fedelissimi di Bozizè iniziati nella notte, sembrano non arrestarsi. Per cercare
di arginare la violenza, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato una risoluzione
che autorizza l'intervento di truppe dell'Unione africana e francesi. Un totale di
4800 soldati come previsto in una bozza definita dal ministero della Difesa di Parigi
che potranno intraprendere – si legge nel testo – tutte le misure necessarie per proteggere
i civili e stabilizzare il Paese. Il Consiglio chiede inoltre al segretario generale
dell’Onu Ban Ki moon di istituire una commissione d'inchiesta per indagare sugli abusi
di diritti umani e minaccia altre sanzioni contro chi viola tali diritti. Si chiede
infine a tutte le parti di assicurare un accesso rapido, sicuro e senza condizioni
alle organizzazioni umanitarie. Londra dal canto suo, per ora propone un aiuto logistico
e limitato alla Francia.Tante inoltre le persone in fuga, molte hanno trovato rifugio
presso le parrocchie di Bangui enei centri Caritas.
Per padre Elisée
Guendjange, segretario generale della Caritas in Centrafrica, non si può parlare
di un conflitto interconfessionale, anche se il rischio che diventi tale è molto alto.
L'intervista è di Marie Duhamel:00:03:38:06
R. – Il y a une tentative
– il faut le reconnaitre – d’instrumentalisation de religion… Bisogna riconoscerlo:
in questo momento c’è il tentativo di strumentalizzare la religione. Ma questo dipende
da alcuni elementi che si sono infiltrati tra gli anti-balaka. Gli anti-balaka sono
dei giovani che hanno assistito a violenze sessuali sulle loro mogli, che hanno visto
uccidere le loro madri, anche tra loro qualcuno è stato violentato… Loro non vogliono
più sopportare tutto questo e quindi sono entrati nella la savana con gli “anti-balaka”,
per opporsi al Séléka. Magari queste rivendicazioni sono anche giuste, ma ci sono
– tra loro – infiltrazioni di elementi estranei che li spingono ad agire contro alcuni
musulmani che sono innocenti, in tutta questa faccenda. Infatti, perfino dei musulmani
hanno subito saccheggi dal Séléka. In questo momento, il rischio è proprio questo:
che si sta cercando di fare entrare in conflitto i gruppi religiosi, quando fondamentalmente
queste gruppi non sono in conflitto, nemmeno a Bangui.
D. – Chi sta cercando
di creare queste ulteriori tensioni?
R. – Oh, derrière il y a certaines hommes
politiques… Oh, dietro ci sono determinati uomini politici…
D. – Si parla
al tempo stesso di conflitto interconfessionale e di guerra civile. Lei quale lettura
ne dà?
R. – D’un coté, on a comme l’impression qu’il y a eu une occupation
étrangère… Da un lato, si ha quasi l’impressione di trovarsi sotto occupazione
straniera. Molti degli uomini armati che si trovano in quella zona parlano arabo,
sono ciadiani e sudanesi. Io non mi pronuncio ancora sul concetto di guerra civile,
ma esiste comunque il rischio di strumentalizzazione, ed è quello che noi non vogliamo.
E’ già stata approntata una piattaforma religiosa dall’arcivescovo e dal presidente.
Ci sono anche il rappresentante protestante e quello musulmano: tutti loro si comprendono
molto bene. Quando si sono fatti gli spostamenti, la piattaforma ha seguito gli spostamenti
per sensibilizzare le persone alla riconciliazione e alla pace.
D. – Esiste
un dialogo anche con i ribelli del Séléka, o incutono troppo timore?
R. – C’est
un peux difficile. Je vous donne le cas, par exemple, de la dernière… E’ un po’
difficile. Le faccio l’esempio dell’ultima missione. Giunti all’ingresso della città
di Bossangoa, nemmeno l’imam è stato accettato dal Séléka. Uno di loro ha detto: “Lasciami
in pace, con queste cose”. Abbiamo l’impressione che tra i musulmani ce ne siano che
non praticano nemmeno la loro religione, quindi che non ascoltano nemmeno i loro imam:
e questo è grave.
D. – Questo significa che, in qualche modo, ci sono dei mercenari
tra loro. Lei pensa che con l’arrivo dei soldati stranieri, questi ultimi possano
diventare ancora più aggressivi, sentendosi potenzialmente minacciati?
R. –
Pour le moment, ils ont peur. Certains commencent même a fuir… In questo momento,
hanno paura. Alcuni si sono anche dati alla fuga. Da cinque giorni ci sono i sudanesi
a Yaloké. Yaloké è una provincia a 225 km da Bangui. Erano lì, e lì imponevano le
loro leggi. Ma da quando hanno saputo che verrano i soldati francesi, sono saliti
sui loro mezzi e se ne sono andati. E la popolazione, che si è rifugiata nella savana,
sta incominciando a uscirne. Questo è già un grande sollievo per questa popolazione,
che è stata per tanto tempo oppressa e presa in ostaggio. Noi ci auguriamo che lo
spiegamento delle forze francesi avvenga quando prima, perché la forza di pace internazionale
non ha ancora l’autorizzazione ad intervenire direttamente. I ribelli uccidono le
persone direttamente davanti ai loro occhi, violentano le donne… Ecco perché noi auspichiamo
vivamente l’arrivo dei militari francesi, affinché ci sia di nuovo la sicurezza nel
Paese.