Il Papa prega per la pace in Siria e per le suore rapite a Ma’lula. Una religiosa:
al Paese serve unità
Nuovo accorato appello del Papa per la Siria, ieri al termine dell’udienza generale.
Il Pontefice ha chiesto di pregare in particolare per le cinque suore ortodosse rapite
a Ma’lula, probabilmente dai ribelli del Fronte Al Nusra, affiliati di Al Qaeda. Secondo
la stampa siriana, i terroristi minacciano di usare le religiose “come scudi umani”.
Il servizio di Giada Aquilino:
“Desidero
ora invitare tutti a pregare per le monache del Monastero greco-ortodosso di Santa
Tecla a Ma’lula, in Siria: sono state portate via con la forza da uomini armati. Preghiamo
per queste sorelle e per tutte le persone sequestrate a causa del conflitto in corso.
Continuiamo a pregare e a operare insieme per la pace”.
Il pensiero del
Papa per la Siria rimane costante, immutato da quel 7 settembre quando invitò alla
preghiera e al digiuno per la pace. Gli appelli del Pontefice sono stati ricordati
dal segretario di Stato, l’arcivescovo Parolin, che pure ha espresso “preoccupazione
per la situazione” nel Paese: vedremo cosa si potrà fare - ha detto - con la Conferenza
di Ginevra. Sul vertice di gennaio è puntata l’attenzione internazionale, mentre il
regime - col ministro dell'Informazione, al-Zohbi - ribadisce che Bashar al Assad
resterà presidente e guiderà qualsiasi governo di transizione emerga dalla Conferenza.
Ad Aleppo, intanto, alcuni razzi lanciati dalle forze lealiste hanno causato almeno
18 morti e 30 feriti. Preoccupazione per la sicurezza sul terreno è stata espressa
dal segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, che in queste ore ha presentato al
Consiglio di Sicurezza il proprio piano per la rimozione delle armi chimiche dalla
Siria, specificando l’imballaggio necessario per il trasporto marittimo e ribadendo
che diversi Stati hanno indicato la disponibilità a fornire navi specializzate.
Dunque
sul terreno non cessano le violenze. Tutti i religiosi in Siria si uniscono alle preghiere
del Papa, per la pace e per le suore portate via con la forza. Al microfono di Gabriella
Ceraso lo ribadisce una suora di un monastero trappista del Paese:
R. –
Noi, in un certo senso, siamo nella stessa situazione, solo che siamo in un Paese
prevalentemente alawita, quindi corriamo meno rischi che non le sorelle che si sono
trovate accerchiate dai sunniti. Le capiamo tantissimo, così come quelle comunità
che sono state toccate dall’odio. Noi le abbiamo sempre nel cuore e preghiamo per
loro.
D. – Il Papa chiede di pregare e anche di continuare a operare per la
pace...
R. – In un certo senso, il nostro modo di vivere, i contatti che abbiamo
con tutto il circondario, sono un modo di operare per la pace. Il fatto semplicemente
di essere qui e pregare per loro ha un grandissimo significato. E poi, il fatto che
ci vedano accoglienti: questo è il nostro modo di mantenere desta la speranza. Il
grosso problema, infatti, è che se la speranza decade, la gente non si muove più.
Per fortuna, qui le persone sentono la vita che viene dalla terra e vogliono vivere
in questa terra.
D. – Arrivano aiuti dalla comunità internazionale?
R.
– In genere, sono le chiese che cercano di sostenere e anche noi siamo un punto di
sostegno, occupandoci anche noi degli sfollati e della gente, che è rimasta senza
niente e così via, con gli aiuti che ci vengono direttamente dall’Italia. Gli aiuti
internazionali, quindi, non si sa mai dove arrivino e da chi siano sfruttati.
D.
– Tutti, in questo momento, parlano a livello politico di questo appuntamento di Ginevra
di fine gennaio. L’auspicio è che la preghiera che ha chiesto oggi il Papa vada anche
a quello che è il futuro politico della Siria...
R. – Non c’è da fare semplicemente
una pace politica, occorre pensare a una ripresa del popolo, una ripresa dell’unità
che c’era prima, a far sparire le paure, a far reincontrare la gente. Prima che succedesse
tutto questo – sono quasi ormai tre anni – nemmeno si sapeva di che religione fosse
l’amico che abitava vicino a te. Non era necessario saperlo, infatti: l’importante
era essere siriani insieme. Adesso, hanno paura gli uni degli altri. E poi tutta la
violenza che accade sotto gli occhi dei piccoli. Io mi chiedo quanta gente, di quella
che siederà al tavolo delle trattative a "Ginevra 2", vorrà veramente il bene del
popolo della Siria. E questo è il tragico della situazione: ciascuno si siederà avendo
le sue idee in testa e i suoi interessi. Questa è una cosa molto grossa, difficile
da ottenere.