2013-12-05 15:40:01

Centrafrica, caos e violenza nel Paese: decine di morti. Sì dell'Onu a intervento francese


In Centrafrica non cessa la violenza. Scontri sono in corso a Bangui tra gli ex ribelli islamisti del Fronte Seleka, e i combattenti rimasti fedeli al deposto presidente Francois Bozizè. Numerose le vittime: oltre ottanta cadaveri sono stati rinvenuti in una moschea e per le strade di Bangui. Secondo la Caritas locale circa seimila persone si sono rifugiate nelle 15 parrocchie della capitale. Intanto, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha adottato all'unanimità una risoluzione per l'invio di 1.200 soldati francesi nella Repubblica Centrafricana. I Quindici hanno dato il via libera all'intervento di Parigi in appoggio alle forze africane già presenti in Centrafrica per il ripristino dell'ordine nella regione. Il servizio di Massimiliano Menichetti:RealAudioMP3

La Repubblica centrafricana non esce dal caos. Da questa mattina, nella capitale Bangui si fronteggiano, affiancate da bande locali, le milizie armate fedeli al deposto presidente, Francois Bozizè - uscito di scena il 24 marzo scorso - e gli ex ribelli islamisti del Fronte Seleka, che attualmente guidano il Paese. Venti le persone che hanno perso la vita, imprecisato il numero dei feriti. "Ci sono colpi di arma da fuoco dappertutto", ha confermato Amy Martin, responsabile per il Centrafrica dell'Ufficio Onu per il Coordinamento degli Affari Umanitari. Una “situazione molto preoccupante, e gravi sono i rischi per il Paese” ha detto Martin Tumenta Chomu, il generale camerunese che comanda la Misca, il corpo di pace inviato dall'Unione Africana. Intanto l’Onu ha dato il via libera alla missione di stabilizzazione francese che porterà subito in Centrafrica altri 1200 militari. I peacekeepers già presenti nel Paese sono entrati in azione per sedare le violenze, quasi rispondendo all’appello del primo ministro della centrafricano, Nicolas Tiangaye, che ha invocato un intervento immediato delle truppe di Parigi.

Per padre Elisée Guendjange, segretario generale della Caritas in Centrafrica, non si può parlare di un conflitto interconfessionale, anche se il rischio che diventi tale è molto alto. L'intervista è di Marie Duhamel:RealAudioMP3

R. – Il y a une tentative – il faut le reconnaitre – d’instrumentalisation de religion…
Bisogna riconoscerlo: in questo momento c’è il tentativo di strumentalizzare la religione. Ma questo dipende da alcuni elementi che si sono infiltrati tra gli anti-balaka. Gli anti-balaka sono dei giovani che hanno assistito a violenze sessuali sulle loro mogli, che hanno visto uccidere le loro madri, anche tra loro qualcuno è stato violentato… Loro non vogliono più sopportare tutto questo e quindi sono entrati nella la savana con gli “anti-balaka”, per opporsi al Séléka. Magari queste rivendicazioni sono anche giuste, ma ci sono – tra loro – infiltrazioni di elementi estranei che li spingono ad agire contro alcuni musulmani che sono innocenti, in tutta questa faccenda. Infatti, perfino dei musulmani hanno subito saccheggi dal Séléka. In questo momento, il rischio è proprio questo: che si sta cercando di fare entrare in conflitto i gruppi religiosi, quando fondamentalmente queste gruppi non sono in conflitto, nemmeno a Bangui.

D. – Chi sta cercando di creare queste ulteriori tensioni?

R. – Oh, derrière il y a certaines hommes politiques…
Oh, dietro ci sono determinati uomini politici…

D. – Si parla al tempo stesso di conflitto interconfessionale e di guerra civile. Lei quale lettura ne dà?

R. – D’un coté, on a comme l’impression qu’il y a eu une occupation étrangère…
Da un lato, si ha quasi l’impressione di trovarsi sotto occupazione straniera. Molti degli uomini armati che si trovano in quella zona parlano arabo, sono ciadiani e sudanesi. Io non mi pronuncio ancora sul concetto di guerra civile, ma esiste comunque il rischio di strumentalizzazione, ed è quello che noi non vogliamo. E’ già stata approntata una piattaforma religiosa dall’arcivescovo e dal presidente. Ci sono anche il rappresentante protestante e quello musulmano: tutti loro si comprendono molto bene. Quando si sono fatti gli spostamenti, la piattaforma ha seguito gli spostamenti per sensibilizzare le persone alla riconciliazione e alla pace.

D. – Esiste un dialogo anche con i ribelli del Séléka, o incutono troppo timore?

R. – C’est un peux difficile. Je vous donne le cas, par exemple, de la dernière…
E’ un po’ difficile. Le faccio l’esempio dell’ultima missione. Giunti all’ingresso della città di Bossangoa, nemmeno l’imam è stato accettato dal Séléka. Uno di loro ha detto: “Lasciami in pace, con queste cose”. Abbiamo l’impressione che tra i musulmani ce ne siano che non praticano nemmeno la loro religione, quindi che non ascoltano nemmeno i loro imam: e questo è grave.

D. – Questo significa che, in qualche modo, ci sono dei mercenari tra loro. Lei pensa che con l’arrivo dei soldati stranieri, questi ultimi possano diventare ancora più aggressivi, sentendosi potenzialmente minacciati?

R. – Pour le moment, ils ont peur. Certains commencent même a fuir…
In questo momento, hanno paura. Alcuni si sono anche dati alla fuga. Da cinque giorni ci sono i sudanesi a Yaloké. Yaloké è una provincia a 225 km da Bangui. Erano lì, e lì imponevano le loro leggi. Ma da quando hanno saputo che verrano i soldati francesi, sono saliti sui loro mezzi e se ne sono andati. E la popolazione, che si è rifugiata nella savana, sta incominciando a uscirne. Questo è già un grande sollievo per questa popolazione, che è stata per tanto tempo oppressa e presa in ostaggio. Noi ci auguriamo che lo spiegamento delle forze francesi avvenga quando prima, perché la forza di pace internazionale non ha ancora l’autorizzazione ad intervenire direttamente. I ribelli uccidono le persone direttamente davanti ai loro occhi, violentano le donne… Ecco perché noi auspichiamo vivamente l’arrivo dei militari francesi, affinché ci sia di nuovo la sicurezza nel Paese.







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