Regge la tregua in Thailandia mediata dai militari
Sembra tenere la tregua concordata con la mediazioni dei militari, ma la possibilità
di una ripresa delle violenze da venerdì getta un'ombra sulla Thailandia che si appresta
a festeggiare, domani, il compleanno del suo re. Stefano Vecchia:
Seconda giornata
di tregua oggi a Bangkok, che si prepara a festeggiare domani l'86° compleanno del
sovrano thailandese Bhumibol Adulyadej, Rama IX. Con una sola manifestazione davanti
alla sede nazionale della polizia in pieno centro commerciale e i tre presidi alimentati
anche oggi da migliaia di manifestanti pacifici, la protesta tuttavia è tutt'altro
che sciolta, come pure le incognite per questo paese, unito fino a domani sera in
onore del re, ma da venerdì nuovamente a rischio di violenza diffusa. Le voci in queste
ore sono di colloqui in corso con la mediazione delle forze armate, ma le posizioni
dei protagonisti della crisi restano invariate. Il leader della protesta, Suthep Thaugsuban,
ha comunicato ieri sera alla folla dei sostenitori che la lotta per chiudere la partita
con il governo guidato dalla signora Yingluk Shinawatra continuerà fino alla sua uscita
di scena, alla nascita di un “governo del popolo” con propri organismi rappresentativi
e alla chiusura definitiva di quello che Suthep ha definito il “regime degli Shinawatra”,
ovvero il controllo sul paese della famiglia dell'ex premier Thaksin Shinawatra in
esilio a Dubai. In modo simile, irremovibile sull'illegalità della protesta e sull'incostituzionalità
delle sue richieste, il premier ha proposto un “forum popolare” con personalità indipendenti
che possano suggerire un'uscita dalla crisi in corso e ha chiesto ieri alla polizia
di abbandonare la difesa di luoghi-simbolo e trattare i manifestanti senza gli eccessi
dei giorni precedenti che hanno sollevato critiche e acceso la rabbia degli anti-governativi.
Entrambi i contendenti sanno anche che ogni giorno che passa, si acuiscono le conseguenze
negative per l'immagine della Thailandia e le sue prospettive economiche, ma cresce
anche il rischio di un intervento militare. Una prospettiva che riporterebbe indietro
il paese di anni e darebbe un colpo definitivo alla sua credibilità.
Non tutto
è risolto in Thailandia. Per un’analisi della situazione Massimiliano Menichetti
ha intervistatoRaffaele Marchetti, esperto dell'area e docente
di relazioni internazionali dell'Università Luiss:
R. – Il problema
principale è quello della polarizzazione: noi abbiamo abbiamo da un lato una città
e il sud che sono dietro alle proteste, mentre dall’altro una c'è grande fetta di
elettorato che si trova nelle campagne e che ha sostenuto fortemente il governo di
Shinawatra. Il Paese è diviso e quindi quello di cui c’è bisogno, in una situazione
del genere, naturalmente, è un tentativo di ricomposizione e riunificazione nazionale.
Ovviamente, c’è anche la questione economica: la Thailandia è un Paese con una certa
crescita, ma naturalmente è anche un Paese fragile e questo tipo di proteste così
prolungate hanno un impatto significativo e rilevante sull’economia nazionale.
D.
– Determinante è anche il ruolo dei militari che finora hanno avuto un ruolo di mediazione
che ora potrebbe cambiare?
R. – Già in passato si sono schierati contro la
famiglia Shinawatra. Questo crea un problema in termini di credibilità e ogni qual
volta i militari debbano intervenire, il regime perde in termini di stabilità e di
credibilità internazionale. Però, questo sembra a oggi uno degli esiti più probabili:
molti commentatori si aspettano l’intervento di una terza forza in campo a garantire
stabilità al Paese.
D. – La premier Shinawatra in un intervento televisivo
ha ribadito: “Sono disposta a fare qualunque cosa affinché questa situazione si risolva,
ma la Costituzione non prevede la mia uscita di scena”. Stando così le cose, per la
premier potersi dimettere è davvero impossibile?
R. – Naturalmente, si potrebbero
convocare nuove elezioni, c’è sempre questa possibilità. L’argomento utilizzato dal
governo per evitare il ricorso alle urne è che la situazione, essendo così instabile,
non presenta le condizioni di pacificazione sociale che permettano elezioni regolari.
La premier ha detto: al momento questo non è possibile; per il futuro, se la situazione
si calma è possibile pensare di andare a nuove elezioni. Ma certamente questo significa
posporre a data indefinita, indeterminata, le elezioni che naturalmente l’opposizione
non accetta. Di fatto, quello che chiede l’opposizione è andare oltre l’idea elettorale
per stabilire una sorta di Consiglio del Popolo nell’ambito del quale i leader della
protesta possano accedere al potere attraverso canali alternativi. La situazione è
sempre più polarizzata, perché è una situazione che non è nata negli ultimi giorni
ma ha una storia molto lunga, che ha a che fare con la famiglia Sinawatra, che è una
famiglia che è stata al potere per anni, deposta da una mobilitazione popolare qualche
anno fa, successivamente il fratello della premier attuale è andato in esilio volontario
per sfuggire ad un processo per corruzione… Uno dei motivi principali di questa protesta
è proprio il collegamento che tutti intuiscono, tra la premier – oggi – e il fratello
in esilio a Dubai.
D. – Questa crisi che si sta vivendo in Thailandia viene
raccontata dai vari media internazionali; però non c’è un intervento di nessun tipo
e neanche si profila. Perché?
R. – Uno dei motivi ha a che vedere con la forma
istituzionale dell’alleanza regionale di cui fa parte la Thailandia. L’Asean è un’organizzazione
regionale molto “sovranista”: il principio della non-interferenza negli affari nazionali
è un principio cardine dell’organizzazione. Quindi, mancano gli strumenti istituzionali
che permettano ai vicini di intervenire per pacificare la situazione. A livello internazionale
più ampio: naturalmente c’è una tensione. L’Unione Europea è interessata ma non riesce
a trovare la modalità giusta per intervenire; gli Stati Uniti sono un attore importante
e però anche la Cina, naturalmente, segue con attenzione l’evolversi della situazione.
D.
– Senza intervenire, però, in questo momento?
R. – No, certamente no: senza
intervenire. Però, è chiaro che Pechino sta osservando con attenzione tutto ciò che
avviene nel Sudest asiatico, che è in qualche modo un’area nella quale ha un grande
interesse e affari crescenti.