2013-12-04 15:26:37

Brasile: gli indios Guarani Kaiowá chiedono tutele dopo la morte del loro leader


“E’ necessaria una mobilitazione internazionale per difendere i popoli nativi”. E’ l’appello lanciato dal movimento per i popoli indigeni “Survival Internazional”, dopo l’uccisione, domenica scorsa, di Ambrósio Vilhalva, leader dei Guarani Kaiowá, in Brasile. Ambrósio, noto anche per essere stato il protagonista del film di Marco Bechis “Birdwatchers - La terra degli uomini rossi”, da decenni lottava per il rispetto del diritto, a oggi calpestato, a vivere nella terra ancestrale. Di morte “triste e complessa” parla il Consiglio indigenista missionario del Brasile. Per ora, i mandanti e gli autori dell'assassinio restano sconosciuti. Massimiliano Menichetti ha fatto il punto della situazione con Francesca Casella di Survival International Italia:RealAudioMP3

R. – La situazione attuale in Brasile è veramente drammatica, perché il governo sta pianificando tutta una serie di nuove leggi ed emendamenti costituzionali, che mineranno completamente i diritti indigeni e renderanno molto più complesso nel futuro – ma anche già adesso – ottenere un riconoscimento dei loro territori.

D. - In questo scenario, la drammatica notizia dell’uccisione nei giorni scorsi del leader dei Guaranì, Ambrosio Vilhalva…

R. – Siamo ovviamente scioccati da questa notizia, perché abbiamo lavorato per molti anni con Ambrosio e come tanti altri guaranì, che si stavano da anni impegnando per ottenere e riconquistare le terre ancestrali, riceveva continuamente minacce di morte dai latifondisti: allevatori e coltivatori, soprattutto di canna di zucchero, che hanno nel corso degli ultimi decenni occupato quasi integralmente le loro terre, costringendoli a vivere ai margini di quelli che un tempo erano i loro territori ancestrali.

D. – Ambrosio era stato anche il protagonista del film “Birdwatchers – La terra degli uomini rossi” proprio sui Guaranì…

R. – Il film è stato dedicato all’uccisione di un leader indigeno: tragicamente paradossale è il fatto che lui sia morto esattamente come il vero ispiratore del film e il protagonista della pellicola. Quindi, una tragedia che prima si fa finzione e poi, da finzione, torna realtà...

D. – Voi ribadite: i Guaranì soffrono uno dei tassi più alti di omicidio nel mondo. E’ così?

R. – Quattro volte superiore al tasso di omicidi nel Paese. Nella maggior parte dei casi, si tratta di uccisioni ordinate dai latifondisti – quindi da allevatori e imprenditori agricoli – che hanno occupato le loro terre. Non solo: i Guaranì soffrono anche il tasso di suicidi fra i più alti al mondo, si stima che una persona a settimana compia questo terribile gesto.

D. – Questo perché accade?

R. – Perché i Guaranì non hanno più nulla! Hanno tolto loro tutte le loro terre, perse negli ultimi decenni proprio a favore – soprattutto oggi – delle coltivazioni di biocarburanti, soprattutto canna da zucchero. Non dobbiamo dimenticare che il Brasile è oggi uno dei maggiori produttori di biocarburanti al mondo.

D. – Di quante persone stiamo parlando? Che realtà è il popolo Guaranì?

R. – Complessivamente, sono un milione e mezzo tra Paraguay, Brasile, Bolivia e Argentina. Ma quelli di cui stiamo parlando noi oggi, che sono anche quelli con la situazione più grave, i Gauaranì-Kaiowá del Mato Groso do Sul sono circa 30 mila persone. Sono tutti determinati a mantenere le loro terre e come anche Ambrosio aveva detto: “Noi non smetteremo mai di lottare, a costo della nostra vita!”.

D. – Però, esattamente, dove vivono oggi? In che condizioni?

R. – In condizioni disperate, ai margini dei loro territorio o in riserve sovraffollate o, molto più spesso, accampati nel senso letterate del termine ai margini delle superstrade che fiancheggiano le piantagioni. Senza acqua potabile e soprattutto in condizioni di totale mancanza di acqua pulita, di cibo sufficiente e di condizioni sanitarie adeguate. In modo particolare a contaminare le loro risorse sono tutti i pesticidi e i prodotti chimici utilizzati dalle piantagioni, che vengono addirittura in molti casi irrorati da aerei che sorvolano i loro territori.
D. – Come organizzazione siete prima linea: cosa state facendo e cosa farete?

R. – Stiamo esercitando una pressione fortissima sul governo brasiliano, affinché anzitutto rispetti i suoi impegni legali – sia quelli imposti dalla Costituzione brasiliana stessa, sia anche dalla legge internazionale – e demarchi quindi tutti i territori indigeni, che sono già stati riconosciuti come tali, ma che da decenni aspettano di essere restituiti ai loro legittimi proprietari. Stiamo anche chiedendo che non vengano modificate le leggi che tutelano i diritti umani e territoriali degli indigeni, così come il governo sta adesso pianificando di fare. Stiamo anche sostenendo ogni singola tribù del Brasile che ci chiede aiuto, mobilitando l’opinione pubblica, fornendo assistenza legale sul posto e portando il nostro aiuto ovunque sia possibile per superare le situazioni di emergenza. Tra l’altro, chiunque può aiutarci a fare questo: esercitare pressioni, per esempio, sulle compagnie che ancora oggi si approvvigionano di canna da zucchero nelle terre dei Guaranì, macchiando di sangue i loro prodotti. Chiunque può aiutarci collegandosi al nostro sito e partecipare alla nostra mobilitazione.

D. – Sul vostro sito è presente anche la possibilità di firmare una lettera da inviare al governo brasiliano. Perché è utile?

R. – Le grandi battaglie che Survival ha vinto, nel corso dei suoi quasi ormai 45 anni di vita nel mondo, sono state vinte grazie alla pressione dell’opinione pubblica, che oggi è l’unica in grado di contrastare i grandi interessi politici ed economici che minano i diritti dei popoli indigeni e il loro futuro. In particolare, in questo momento il governo brasiliano è più vulnerabile che mai perché è sotto i riflettori internazionali, visto che ospiterà la Coppa del Mondo, ci saranno i Giochi olimpici… Per cui, il Brasile non può permettersi – noi crediamo – di danneggiare la sua immagine a livello internazionale, rendendosi complice e responsabile di questi terribili crimini che anche l’Onu ha definito come “i più silenziosi olocausti della storia dell’umanità”.








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