Thailandia. Calma a Bangkok dopo l’ennesima giornata di scontri tra antigovernativi
ed esercito
Il caos in Thailandia tende ad attenuarsi. Dopo un’altra giornata di scontri di piazza
tra il movimento che si oppone alla leader del governo, Shinawatra, stamani la polizia
ha allentato il blocco attorno alla sede del governo, nella quale sono entrati i manifestanti,
in un clima non più arroventato. Poco fa ci siamo collegati con Bangkok, dove abbiamo
raccolto le impressioni di Stefano Vecchia:
Oggi la situazione
di Bangkok sembra a dir poco irreale. Per tutta al giornata di ieri gli scontri più
duri dall'inizio della protesa oltre un mese fa avevano riguardato la sede metropolitana
della polizia. Con il calare del buio, le violenze si erano riaccese attorno al Palazzo
del governo dove si è combattuto fino notte fonda, tra roghi e esplosioni, mentre
nel centro commerciale cittadino migliaia di manifestanti pacifici hanno assediato
simbolicamente la sede nazionale della polizia. Stamattina una delle tante svolte
impreviste di questa crisi thailandese: la polizia antisommossa si è ritirata dalle
zone degli scontri, lasciando addirittura aperti i cancelli per accedere al suo comando
cittadino. Al Palazzo del governo il suo posto è stato preso da soldati disarmati.
Questo a poche ore dall'ultimatum di 48 ore dato dai leader della protesta al governo
per le dimissioni. A guastare il nuovo, più disteso clima nella capitale, si rincorrono
le voci di una possibile azione della polizia per arrestare il leader della protesta
Suthep Thaugsuban, come pure si temono le voci incontrollabili sulla possibilità che
si riaccendano scontri violenti. Ieri sera, Suthep aveva chiuso ancora le porte a
ogni trattativa con un governo che ritiene delegittimato e preso posizioni assai dure
contro la polizia accusata di connivenza con l'ex premier in esilio Thaksin Shinawatra
che considera il vero gestore del paese. Pare che il dialogo a più parti, perlopiù
segreto, abbia dato come risultato la situazione odierna che è sostanzialmente di
stallo ma utile a far allentare la tensione ed evitare nuove vittime (almeno 4 i morti
e duecento i feriti e intossicati), da un lato; consentire di superare con una facciata
di armonia nazionale il compleanno del re il 5 dicembre, dall'altro. Dopo quella data,
infatti, è previsto un incontro dei vertici delle forze armate. Il primo ministro,
la signora Yingluck Shinawatra, è partita per la città di Hua Hin, ufficialmente per
le celebrazioni del genetliaco presso la residenza del sovrano. La protesta canta
vittoria e abbraccia gli uomini in divisa fino a ieri avversari, ma la premier resta
ancora ufficialmente in carica. Non tutto è risolto in Thailandia. Per un’analisi
della situazione Massimiliano Menichetti ha intervistato Raffaele Marchetti,
esperto dell'area e docente di relazioni internazionali dell'Università Luiss:
R. – Il problema
principale è quello della polarizzazione: noi abbiamo abbiamo da un lato una città
e il sud che sono dietro alle proteste, mentre dall’altro una c'è grande fetta di
elettorato che si trova nelle campagne e che ha sostenuto fortemente il governo di
Shinawatra. Il Paese è diviso e quindi quello di cui c’è bisogno, in una situazione
del genere, naturalmente, è un tentativo di ricomposizione e riunificazione nazionale.
Ovviamente, c’è anche la questione economica: la Thailandia è un Paese con una certa
crescita, ma naturalmente è anche un Paese fragile e questo tipo di proteste così
prolungate hanno un impatto significativo e rilevante sull’economia nazionale.
D.
– Determinante è anche il ruolo dei militari che finora hanno avuto un ruolo di mediazione
che ora potrebbe cambiare?
R. – Già in passato si sono schierati contro la
famiglia Shinawatra. Questo crea un problema in termini di credibilità e ogni qual
volta i militari debbano intervenire, il regime perde in termini di stabilità e di
credibilità internazionale. Però, questo sembra a oggi uno degli esiti più probabili:
molti commentatori si aspettano l’intervento di una terza forza in campo a garantire
stabilità al Paese.
D. – La premier Shinawatra in un intervento televisivo
ha ribadito: “Sono disposta a fare qualunque cosa affinché questa situazione si risolva,
ma la Costituzione non prevede la mia uscita di scena”. Stando così le cose, per la
premier potersi dimettere è davvero impossibile?
R. – Naturalmente, si potrebbero
convocare nuove elezioni, c’è sempre questa possibilità. L’argomento utilizzato dal
governo per evitare il ricorso alle urne è che la situazione, essendo così instabile,
non presenta le condizioni di pacificazione sociale che permettano elezioni regolari.
La premier ha detto: al momento questo non è possibile; per il futuro, se la situazione
si calma è possibile pensare di andare a nuove elezioni. Ma certamente questo significa
posporre a data indefinita, indeterminata, le elezioni che naturalmente l’opposizione
non accetta. Di fatto, quello che chiede l’opposizione è andare oltre l’idea elettorale
per stabilire una sorta di Consiglio del Popolo nell’ambito del quale i leader della
protesta possano accedere al potere attraverso canali alternativi. La situazione è
sempre più polarizzata, perché è una situazione che non è nata negli ultimi giorni
ma ha una storia molto lunga, che ha a che fare con la famiglia Sinawatra, che è una
famiglia che è stata al potere per anni, deposta da una mobilitazione popolare qualche
anno fa, successivamente il fratello della premier attuale è andato in esilio volontario
per sfuggire ad un processo per corruzione… Uno dei motivi principali di questa protesta
è proprio il collegamento che tutti intuiscono, tra la premier – oggi – e il fratello
in esilio a Dubai.
D. – Questa crisi che si sta vivendo in Thailandia viene
raccontata dai vari media internazionali; però non c’è un intervento di nessun tipo
e neanche si profila. Perché?
R. – Uno dei motivi ha a che vedere con la forma
istituzionale dell’alleanza regionale di cui fa parte la Thailandia. L’Asean è un’organizzazione
regionale molto “sovranista”: il principio della non-interferenza negli affari nazionali
è un principio cardine dell’organizzazione. Quindi, mancano gli strumenti istituzionali
che permettano ai vicini di intervenire per pacificare la situazione. A livello internazionale
più ampio: naturalmente c’è una tensione. L’Unione Europea è interessata ma non riesce
a trovare la modalità giusta per intervenire; gli Stati Uniti sono un attore importante
e però anche la Cina, naturalmente, segue con attenzione l’evolversi della situazione.
D.
– Senza intervenire, però, in questo momento?
R. – No, certamente no: senza
intervenire. Però, è chiaro che Pechino sta osservando con attenzione tutto ciò che
avviene nel Sudest asiatico, che è in qualche modo un’area nella quale ha un grande
interesse e affari crescenti.