2013-12-03 08:12:56

Thailandia. Calma a Bangkok dopo l’ennesima giornata di scontri tra antigovernativi ed esercito


Il caos in Thailandia tende ad attenuarsi. Dopo un’altra giornata di scontri di piazza tra il movimento che si oppone alla leader del governo, Shinawatra, stamani la polizia ha allentato il blocco attorno alla sede del governo, nella quale sono entrati i manifestanti, in un clima non più arroventato. Poco fa ci siamo collegati con Bangkok, dove abbiamo raccolto le impressioni di Stefano Vecchia:RealAudioMP3

Oggi la situazione di Bangkok sembra a dir poco irreale. Per tutta al giornata di ieri gli scontri più duri dall'inizio della protesa oltre un mese fa avevano riguardato la sede metropolitana della polizia. Con il calare del buio, le violenze si erano riaccese attorno al Palazzo del governo dove si è combattuto fino notte fonda, tra roghi e esplosioni, mentre nel centro commerciale cittadino migliaia di manifestanti pacifici hanno assediato simbolicamente la sede nazionale della polizia. Stamattina una delle tante svolte impreviste di questa crisi thailandese: la polizia antisommossa si è ritirata dalle zone degli scontri, lasciando addirittura aperti i cancelli per accedere al suo comando cittadino. Al Palazzo del governo il suo posto è stato preso da soldati disarmati. Questo a poche ore dall'ultimatum di 48 ore dato dai leader della protesta al governo per le dimissioni. A guastare il nuovo, più disteso clima nella capitale, si rincorrono le voci di una possibile azione della polizia per arrestare il leader della protesta Suthep Thaugsuban, come pure si temono le voci incontrollabili sulla possibilità che si riaccendano scontri violenti. Ieri sera, Suthep aveva chiuso ancora le porte a ogni trattativa con un governo che ritiene delegittimato e preso posizioni assai dure contro la polizia accusata di connivenza con l'ex premier in esilio Thaksin Shinawatra che considera il vero gestore del paese. Pare che il dialogo a più parti, perlopiù segreto, abbia dato come risultato la situazione odierna che è sostanzialmente di stallo ma utile a far allentare la tensione ed evitare nuove vittime (almeno 4 i morti e duecento i feriti e intossicati), da un lato; consentire di superare con una facciata di armonia nazionale il compleanno del re il 5 dicembre, dall'altro. Dopo quella data, infatti, è previsto un incontro dei vertici delle forze armate. Il primo ministro, la signora Yingluck Shinawatra, è partita per la città di Hua Hin, ufficialmente per le celebrazioni del genetliaco presso la residenza del sovrano. La protesta canta vittoria e abbraccia gli uomini in divisa fino a ieri avversari, ma la premier resta ancora ufficialmente in carica.
Non tutto è risolto in Thailandia. Per un’analisi della situazione Massimiliano Menichetti ha intervistato Raffaele Marchetti, esperto dell'area e docente di relazioni internazionali dell'Università Luiss:RealAudioMP3

R. – Il problema principale è quello della polarizzazione: noi abbiamo abbiamo da un lato una città e il sud che sono dietro alle proteste, mentre dall’altro una c'è grande fetta di elettorato che si trova nelle campagne e che ha sostenuto fortemente il governo di Shinawatra. Il Paese è diviso e quindi quello di cui c’è bisogno, in una situazione del genere, naturalmente, è un tentativo di ricomposizione e riunificazione nazionale. Ovviamente, c’è anche la questione economica: la Thailandia è un Paese con una certa crescita, ma naturalmente è anche un Paese fragile e questo tipo di proteste così prolungate hanno un impatto significativo e rilevante sull’economia nazionale.

D. – Determinante è anche il ruolo dei militari che finora hanno avuto un ruolo di mediazione che ora potrebbe cambiare?

R. – Già in passato si sono schierati contro la famiglia Shinawatra. Questo crea un problema in termini di credibilità e ogni qual volta i militari debbano intervenire, il regime perde in termini di stabilità e di credibilità internazionale. Però, questo sembra a oggi uno degli esiti più probabili: molti commentatori si aspettano l’intervento di una terza forza in campo a garantire stabilità al Paese.

D. – La premier Shinawatra in un intervento televisivo ha ribadito: “Sono disposta a fare qualunque cosa affinché questa situazione si risolva, ma la Costituzione non prevede la mia uscita di scena”. Stando così le cose, per la premier potersi dimettere è davvero impossibile?

R. – Naturalmente, si potrebbero convocare nuove elezioni, c’è sempre questa possibilità. L’argomento utilizzato dal governo per evitare il ricorso alle urne è che la situazione, essendo così instabile, non presenta le condizioni di pacificazione sociale che permettano elezioni regolari. La premier ha detto: al momento questo non è possibile; per il futuro, se la situazione si calma è possibile pensare di andare a nuove elezioni. Ma certamente questo significa posporre a data indefinita, indeterminata, le elezioni che naturalmente l’opposizione non accetta. Di fatto, quello che chiede l’opposizione è andare oltre l’idea elettorale per stabilire una sorta di Consiglio del Popolo nell’ambito del quale i leader della protesta possano accedere al potere attraverso canali alternativi. La situazione è sempre più polarizzata, perché è una situazione che non è nata negli ultimi giorni ma ha una storia molto lunga, che ha a che fare con la famiglia Sinawatra, che è una famiglia che è stata al potere per anni, deposta da una mobilitazione popolare qualche anno fa, successivamente il fratello della premier attuale è andato in esilio volontario per sfuggire ad un processo per corruzione… Uno dei motivi principali di questa protesta è proprio il collegamento che tutti intuiscono, tra la premier – oggi – e il fratello in esilio a Dubai.

D. – Questa crisi che si sta vivendo in Thailandia viene raccontata dai vari media internazionali; però non c’è un intervento di nessun tipo e neanche si profila. Perché?

R. – Uno dei motivi ha a che vedere con la forma istituzionale dell’alleanza regionale di cui fa parte la Thailandia. L’Asean è un’organizzazione regionale molto “sovranista”: il principio della non-interferenza negli affari nazionali è un principio cardine dell’organizzazione. Quindi, mancano gli strumenti istituzionali che permettano ai vicini di intervenire per pacificare la situazione. A livello internazionale più ampio: naturalmente c’è una tensione. L’Unione Europea è interessata ma non riesce a trovare la modalità giusta per intervenire; gli Stati Uniti sono un attore importante e però anche la Cina, naturalmente, segue con attenzione l’evolversi della situazione.

D. – Senza intervenire, però, in questo momento?

R. – No, certamente no: senza intervenire. Però, è chiaro che Pechino sta osservando con attenzione tutto ciò che avviene nel Sudest asiatico, che è in qualche modo un’area nella quale ha un grande interesse e affari crescenti.







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