Dialogo interreligioso: l'esperienza dei Focolari in rapporto alle comunità musulmane
nel mondo
“Il dialogo interreligioso”, che va condotto “con un’identità chiara e gioiosa” è
“una condizione necessaria per la pace”. Lo scrive Papa Francesco nell’Esortazione
“Evangelii Gaudium”. Il Papa sottolinea in particolare l’importanza della relazione
con i credenti dell’islam invitando, di fronte a episodi “di fondamentalismo violento”,
a “evitare odiose generalizzazioni perché, scrive, il vero Islam e un’adeguata interpretazione
del Corano si oppongono ad ogni violenza”. A coltivare da tempo rapporti improntati
al dialogo con persone e comunità musulmane, in diverse parti del mondo, è il Movimento
dei Focolari. Ma di quale dialogo si tratta? Adriana Masotti lo ha chiesto
a Roberto Catalano, responsabile del Centro per il Dialogo interreligioso dei
Focolari:
R. – Il movimento
è impegnato nel dialogo, perché ha come sua finalità principale quella di costruire
un mondo unito e quindi di credere alla possibilità della famiglia universale. Per
quanto riguarda il dialogo interreligioso, il dialogo è naturalmente più profondo
con le religioni principali, in particolare con l’ebraismo, con l’islam, con il buddismo
e con l’induismo. Quello che è importante sottolineare è che si tratta sempre di un’esperienza
vitale, cioè della vita, quella da cui nasce il dialogo. Si passa poi ad un dialogo
di collaborazione con attività varie, per arrivare anche ad un dialogo di riflessione
accademica e teologica.
D. – Quando si parla delle altre religioni, il dialogo
con la religione musulmana sembra quello più difficile da intraprendere. Che esperienze
ci sono su questo nel Movimento?
R. – Ci sono tante esperienze. Ci sono esperienze
in Algeria, dove il Movimento dei Focolari è per la maggior parte composto di persone
di fede e tradizione islamica, che vivono l’idea della fraternità universale come
musulmani e che cercano di trasmetterla ad altri musulmani. C’è un dialogo negli Stati
Uniti con musulmani afro-americani, seguaci dell’imam W.D. Mohammed, con i quali ci
si incontra in diverse parti del Paese un paio di volte l’anno e sono comunità musulmane
e comunità cristiane che si raccontano come vivono da musulmani e da cristiani. C’è
un dialogo dell’esperienza pedagogica nei Balcani, dove ci sono degli asili che sono
interreligiosi e interetnici, dove si cerca di costruire il futuro di queste nazioni,
formando dei bambini alla loro identità, ma allo stesso tempo all’interazione e quindi
all’integrazione. Poi c’è un dialogo all’interno dell’Europa, con l’islam, attraverso
i musulmani che arrivano per via delle migrazioni. Si tratta di creare un dialogo
dell’accoglienza, una cultura che non escluda nessuno, come Papa Francesco continua
a ripetere. Ci sono, quindi, diversi progetti proprio sul territorio, progetti concreti.
E questi sono in Italia, sono in Austria, sono in Svizzera, in Francia, in Spagna
e anche in altri Paesi.
D. – Prospettive si sono aperte anche in Giordania?
R.
– In Giordania abbiamo un gruppo di musulmani, fra cui tra l’altro un accademico di
grande valore e di alto profilo. Lì, questo tipo di dialogo assume anche una valenza
accademica, proprio grazie a questo professore e ad alcuni amici e colleghi, che hanno
conosciuto la nostra spiritualità e che cercano di parteciparla a livello teologico,
proprio all’interno del loro pensiero nell’Università di Amman e in altri centri teologici.
D.
– Guardiamo un momento all’Italia, dove non mancano anche attriti tra le comunità
islamiche di immigrati, per lo più, e gli italiani...
R. – In Italia si cerca
di portare avanti un discorso comune con diverse comunità di musulmani nella zona
del Veneto, anche in alcune parti della Toscana, poi nel centro Italia e anche recentemente
in Sicilia. Si cerca di lavorare insieme con esperienze, nel quotidiano, di integrazione,
ma anche di collaborazione fra famiglie musulmane e famiglie cristiane, per cercare
di recuperare i valori della famiglia o di non perderli, per quanto riguarda la cultura
musulmana, perché è una cosa cui loro tengono molto. Evidentemente c’è paura, c’è
scetticismo, ma c’è anche molta buona volontà. Come diceva Giovanni Paolo II il dialogo
è un cantiere, quindi si sta costruendo, e nel dialogo bisogna avere molta pazienza.
D.
– Tante esperienze in atto, dunque. Da tutto questo che cosa si può evincere: maggiori
speranze in questa possibilità di incontro?
R. – Senz’altro! Forse noi non
ci rendiamo conto di che cos’era il mondo 30, 40 anni fa, quando non si dialogava
fra persone di diverse religioni, se non minimamente. C’è molta strada da fare ancora.
Ma se non si fa niente, si rischia veramente la catastrofe. E, come dicono molti,
il dialogo è l’unica soluzione. Naturalmente si costruisce giorno per giorno e i protagonisti
siamo noi in prima persona.