2013-12-02 08:09:00

Coprifuoco violato in Thailandia. Manifestazioni e scontri antigovernativi


In Thailandia, non si placano le proteste antigovernative iniziate la scorsa settimana. Violato nella notte il coprifuoco. In atto lo stato d'emergenza. A Bangkok sono proseguiti gli scontri e l'assedio al Palazzo del governo. Il servizio di Stefano Vecchia:

La giornata è stata aperta da scontri finora limitati attorno al Palazzo del governo e con quelli più aspri presso la sede metropolitana della polizia, ma altrove la metropoli vede una certa normalità nonostante la chiamata allo sciopero generale. Molte attività amministrative sono ferme, come pure tante scuole e otto delle università cittadine. Rappresentanti del governo e della polizia sono poco fa in televisione per rassicurare sulla solidità dell'esecutivo e minacciare punizioni per i manifestanti. Ieri, doveva essere il giorno della “vittoria del popolo” per la protesta, con l'invasione definitiva delle maggiori sedi amministrative, di alcuni sedi televisive e del comando nazionale ella polizia, invece è stata una giornata di continui scontri sulle barriere di cemento e filo spinato erette attorno al Palazzo del governo e altrove, dove la polizia ha usato in modo massiccio i lacrimogeni e gli idranti ma anche, viene segnalato nelle ultime ore, proiettili ricoperti di gomma. Una sessantina i ricoverati in ospedale, intossicati o feriti. La giornata di oggi si annuncia complessivamente di attesa, verso la scadenza di 48 ore data dal leader delle protesta anti-governative in corso, Suthep Thaugsuban alla premier Yingluck Shinawatra ieri sera, davanti ai capi delle forze armate. Suthep ha escluso ogni possibilità di trattativa, considerando ormai squalificato il governo per le sue azioni e sfiduciato il premier per la sua parentela con Thaksin Shinawatra, ritenuto dalle opposizone il “burattinaio” del sistema di potere che oggi governa il Paese. 48 ore che scadranno nella serata di domani in cui il governo avrà la possibilità soltanto di uscire di scena oppure di chiamare alla repressione. In questo secondo caso, diventerebbe essenziale il ruolo dei militari. Un ruolo finora di mediazione, sottolineato anche ieri dalla presenza al tavolo dell'incontro tra i due leader del comandante dell'esercito, generale Prayuth Chan-ocha, di un'istituzione però tradizionalmente favorevole all'ideologia nazionalistica, filomonarchica e conservatrice delle parti politiche e sociali che sono ora a capo della protesta. Esercito che da ieri affianca con migliaia di uomini disarmati i poliziotti in diverse località. Con un compito significativo, di tutela anche dei manifestanti. Sono infatti duvuti intervenire gli uomini in divisa per evacuare ieri miglia di studenti intrappolati all'interno dell'università Ramkhamhaeng dopo che ignoti personaggi avevano sparato a più riprese in modo indiscriminato uccidendo cinque studenti e ferendone decine quando questi avevano tentato di opporsi all'arrivo di decine di migliaia di Camicie Rosse filo-governative nel vicino stadio Rajamangala.

Per un'analisi della crisi in Thailandia, Massimiliano Menichetti ha intervistato il prof. Raffaele Marchetti, esperto dell'area e docente di relazioni internazionali dell'Università Luiss:RealAudioMP3

R. – Il problema principale è quello della polarizzazione: noi abbiamo abbiamo da un lato una città e il sud che sono dietro alle proteste, mentre dall’altro una c'è grande fetta di elettorato che si trova nelle campagne e che ha sostenuto fortemente il governo di Shinawatra. Il Paese è diviso e quindi quello di cui c’è bisogno, in una situazione del genere, naturalmente, è un tentativo di ricomposizione e riunificazione nazionale. Ovviamente, c’è anche la questione economica: la Thailandia è un Paese con una certa crescita, ma naturalmente è anche un Paese fragile e questo tipo di proteste così prolungate hanno un impatto significativo e rilevante sull’economia nazionale.

D. – Determinante è anche il ruolo dei militari che finora hanno avuto un ruolo di mediazione che ora potrebbe cambiare?

R. – Già in passato si sono schierati contro la famiglia Shinawatra. Questo crea un problema in termini di credibilità e ogni qual volta i militari debbano intervenire, il regime perde in termini di stabilità e di credibilità internazionale. Però, questo sembra a oggi uno degli esiti più probabili: molti commentatori si aspettano l’intervento di una terza forza in campo a garantire stabilità al Paese.

D. – La premier Shinawatra in un intervento televisivo ha ribadito: “Sono disposta a fare qualunque cosa affinché questa situazione si risolva, ma la Costituzione non prevede la mia uscita di scena”. Stando così le cose, per la premier potersi dimettere è davvero impossibile?

R. – Naturalmente, si potrebbero convocare nuove elezioni, c’è sempre questa possibilità. L’argomento utilizzato dal governo per evitare il ricorso alle urne è che la situazione, essendo così instabile, non presenta le condizioni di pacificazione sociale che permettano elezioni regolari. La premier ha detto: al momento questo non è possibile; per il futuro, se la situazione si calma è possibile pensare di andare a nuove elezioni. Ma certamente questo significa posporre a data indefinita, indeterminata, le elezioni che naturalmente l’opposizione non accetta. Di fatto, quello che chiede l’opposizione è andare oltre l’idea elettorale per stabilire una sorta di Consiglio del Popolo nell’ambito del quale i leader della protesta possano accedere al potere attraverso canali alternativi. La situazione è sempre più polarizzata, perché è una situazione che non è nata negli ultimi giorni ma ha una storia molto lunga, che ha a che fare con la famiglia Sinawatra, che è una famiglia che è stata al potere per anni, deposta da una mobilitazione popolare qualche anno fa, successivamente il fratello della premier attuale è andato in esilio volontario per sfuggire ad un processo per corruzione… Uno dei motivi principali di questa protesta è proprio il collegamento che tutti intuiscono, tra la premier – oggi – e il fratello in esilio a Dubai.

D. – Questa crisi che si sta vivendo in Thailandia viene raccontata dai vari media internazionali; però non c’è un intervento di nessun tipo e neanche si profila. Perché?

R. – Uno dei motivi ha a che vedere con la forma istituzionale dell’alleanza regionale di cui fa parte la Thailandia. L’Asean è un’organizzazione regionale molto “sovranista”: il principio della non-interferenza negli affari nazionali è un principio cardine dell’organizzazione. Quindi, mancano gli strumenti istituzionali che permettano ai vicini di intervenire per pacificare la situazione. A livello internazionale più ampio: naturalmente c’è una tensione. L’Unione Europea è interessata ma non riesce a trovare la modalità giusta per intervenire; gli Stati Uniti sono un attore importante e però anche la Cina, naturalmente, segue con attenzione l’evolversi della situazione.

D. – Senza intervenire, però, in questo momento?

R. – No, certamente no: senza intervenire. Però, è chiaro che Pechino sta osservando con attenzione tutto ciò che avviene nel Sudest asiatico, che è in qualche modo un’area nella quale ha un grande interesse e affari crescenti.







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