L'Onu: situazione drammatica a Gaza, blocco israeliano è illegale
Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, nella Giornata di solidarietà col popolo
palestinese, ha invocato - ancora una volta - la creazione di uno Stato palestinese
che viva “fianco a fianco in pace” con uno Stato di Israele sicuro. Al tempo stesso
ha denunciato che la situazione sul campo è “sempre più pericolosa”. Roberta Gisotti
ha intervistato, a Gerusalemme, Filippo Grandi, commissario generale dell’Unrwa,
l’Agenzia dell’Onu che oggi assiste quasi 5 milioni di rifugiati palestinesi, che
ha espresso particolare preoccupazione per le peggiorate condizioni di vita a Gaza:
R. - Siamo molto
preoccupati, perché - per una combinazione di fattori che si stanno accumulando -
la situazione della popolazione di Gaza si sta nuovamente aggravando in modo molto
serio. Non dobbiamo dimenticare che il blocco israeliano non è mai stato tolto: esiste
da molti anni ed è stato reso più severo e più rigido nel 2007, dopo la presa di potere
di Hamas a Gaza; ha poi cominciato a essere allentato, anche sotto la pressione internazionale,
nel 2010 al punto in cui negli ultimi tempi potevamo - per esempio - noi agenzie delle
Nazioni Unite importare materiali di costruzione. Un elemento, molto importante per
l’economia di Gaza. Ma bisogna costare che degli elementi fondamentali del blocco,
in particolare la proibizione di esportare merci da Gaza, non sono mai cambiati. Ora,
con la transizione politica in Egitto, che ha reso anche l’Egitto più rigido nei confronti
di Gaza - chiusura dei tunnel, etc ... - e con la scoperta di tunnel costruiti da
Hamas tra la Striscia di Gaza e Israele un mese e mezzo fa circa, anche da parte israeliana
c’è stata una reazione e un ulteriore irrigidimento da parte del blocco. Da più di
un mese non possiamo più importare materiale di costruzione; abbiamo dovuto bloccare
tutti i progetti di costruzione che davano lavoro a migliaia di persone e siamo un
po’ tornati alla situazione precedente del 2010. Terrei a sottolineare questo: è fondamentale
continuare a dire che il blocco di Gaza è illegale! E’ una punizione collettiva della
popolazione civile di Gaza, che - ai sensi del diritto internazionale - non è accettabile!
Quindi va levato. Comprendiamo naturalmente che ci sono considerazioni politiche e
di sicurezza molto complesse, molto complicate. Chiediamo, quindi, che mentre questi
elementi politici e di sicurezza vengono affrontati da coloro che ne sono responsabili,
almeno l’importazione - per esempio - di materiale di costruzione, che è così importante
per i nostri progetti, possa essere ripresa perché ci sono tutte le garanzie che quei
materiali di costruzioni vengano utilizzati nel modo più corretto dalla mia agenzia
- l’Unrwa - e dalle altre agenzie delle Nazioni Unite impegnate sul terreno.
D.
- Dottor Grandi, lei sta per concludere - dopo tre anni - il suo mandato all’Unrwa:
qual è il bilancio di questa esperienza? Lei è stato testimone di passi avanti o indietro
nelle condizioni di vita dei palestinesi…
R. - Le devo confessare che la situazione
non è migliore oggi di quanto non lo fosse nel 2005, prendo questa data perché è la
data del mio arrivo in questa regione. Purtroppo si parla spesso di status quo:
io credo che questa sia una definizione fuorviante, perché non c’è status quo.
In Cisgiordania, per esempio, l’avanzata inesorabile delle colonie israeliane - ogni
giorno, ogni ora! - è dinamica, avanza e quindi non è uno stauts quo. Forse
lo è dal punto di vista generale, ma nella vita quotidiana dei palestinesi è un’erosione
progressiva del loro spazio, della loro terra, dei loro diritti, dell’accesso ai mercati,
dell’accesso ai luoghi di culto… Io questa erosione l’ho vista svilupparsi costantemente!
Non forse molto rapidamente, ma in questo sta la sua forza negativa: avanza in modo
quasi invisibile, eppure ogni giorno marginalizza di più i palestinesi.
D.
- Uno status quo, però, di un conflitto che si trascina dal 1947. Vorrei porle
una domanda provocatoria: continuare questa assistenza da parte dell’Unrwa, ormai
da oltre 60 anni, non è un modo per tacitare la coscienza della Comunità internazionale,
senza andare alla radice del problema?
R. - Questa domanda provocatoria, come
lei dice, mi viene posta quasi ogni giorno. Ma ce la poniamo anche noi: è una domanda
molto naturale, spontanea. Io credo, però, che sospendere l’assistenza umanitaria
nei conflitti di difficile risoluzione, penalizza soltanto le vittime! Non penalizza
coloro che sono risposabili per trovare le soluzioni politiche a questi conflitti.
Sarebbe un errore fondamentale privare i bambini rifugiati palestinesi attraverso
il Medio Oriente: ne abbiamo 500 mila nelle nostre scuole. Sarebbe un errore fondamentale
privarli dell’educazione e di un futuro un pochino migliore in nome di un ritiro che
possa permettere il formarsi di una situazione che conduca alla pace. Prima di tutto
non siamo sicuri che conduca alla pace e in secondo luogo, in questo lasso di tempo
che poi dovrebbe teoricamente condurre alla pace, noi priviamo di cure mediche, di
educazione, di opportunità economiche un grandissimo numero di persone che dipendendo
interamente - in questo caso - dall’Unrwa e dall’assistenza delle Nazioni Unite!