2013-11-28 14:57:25

Bologna. Presentato il libro di Nello Scalo "La lista di Bergoglio"


Tra le decine di volumi spuntati in questi mesi in libreria su Papa Francesco c’è una particolare inchiesta condotta dal giornalista di “Avvenire”, Nello Scalo. Un documento diventato un vero best seller a soli due mesi dalla sua pubblicazione. Si tratta de “La lista di Bergoglio. I salvati da Papa Francesco durante la dittatura. La storia mai raccontata” pubblicato dalla Editrice Missionaria Italiana (Emi). Ieri, a Bologna, la presentazione del libro con l’autore. Luca Tentori lo ha intervistato:RealAudioMP3

Una scheggia di storia argentina messa sotto i riflettori. Il dolore di quegli anni, dal 1976 al 1983, ha colpito al cuore l’intera nazione sudamericana sotto il regime del generale Videla. Di questo parla il libro di Nello Scalo, che richiama subito alla memoria, per titolo e contenuti, il famoso film “Schindler’s list”. Ma qui il viaggio è al seguito di padre Bergoglio, allora superiore della Provincia religiosa argentina dei Gesuiti. La lista, incompleta, è quella delle numerose persone salvate grazie al suo intervento. Le accuse e calunnie di collaborazionismo con il regime, fiorite a poche ore dall’elezione di Papa Francesco, hanno spinto il giornalista a indagare sul suo passato per scoprire una sorprendente realtà. Una ricerca difficile perché avvolta ancora oggi da un silenzio rispettoso da parte dei protagonisti.

R. - Il silenzio di oggi è il silenzio evangelico di un uomo che pensa e testimonia come dice appunto il Vangelo: “Non sappia la destra quello che fa la sinistra”. Ma è anche il silenzio di chi conosce il dolore di un Paese che ancora oggi deve misurarsi con 30 mila desaparecidos, decina di miglia di fucilati per strada e la generazione perduta dei bambini sottratti alle mamme nei luoghi di tortura, i bambini illegalmente adottati dalle famiglie del regime e i genitori ammazzati. La maggior parte di essi non conosce la verità sulla propria storia. Di fronte a un dolore così vivo, ancora oggi certamente impedisce anche a uno come Bergoglio di presentarsi come eroe di quell’epoca.

D. - Tra le tante storie raccolte e raccontate nel libro, quale le è rimasta maggiormente impressa?

R. - E’ difficile sceglierne una in particolare perché tutte raccontano di un Bergoglio che fondava la sua azione in una profondissima spiritualità, senza la quale non avrebbe potuto probabilmente salvare nessuno, perché egli era un uomo di preghiera, un uomo di testimonianza già allora.

D. - Lei ha scandagliato in profondità quelle vicende andando di persona in Argentina a suonare alle porte dei salvati dalla “Lista di Bergoglio”. Che ritratto dipinge del futuro Pontefice il pennello della storia di quegli anni?

R. - Era un uomo, come lui stesso si è definito recentemente in un’intervista, furbo e capace di muoversi in situazioni difficili, ma anche dotato e attrezzato di una certa sana ingenuità e questo gli ha permesso di mantenersi semplice nel cuore in quegli anni, ma anche molto attento e molto astuto nel scegliere le vie migliori per poter salvare tante persone. E lo ha fatto a rischio della sua reputazione e ancor di più della sua vita, evitando che altri, soprattutto confratelli gesuiti, potessero essere sovraesposti.

Alla presentazione del volume alla “Fondazione scienze religiose” di Bologna era presente anche il suo presidente, lo storico Alberto Melloni. A lui abbiamo chiesto una inquadratura della vicende della Chiesa argentina in quegli anni. Il libro sostiene che “la sua storia non fu un letto di rose”:

R. - La storia di nessuna Chiesa è mai un letto di rose. La Chiesa non è solo peccatrice. Oltre a essere Santa per definizione, lo è per davvero. E nel contesto, nella tormenta dei fatti storici, non è certo la prima volta che la Chiesa si trova all’interno di vicende delle quali dopo dà un giudizio molto diverso rispetto a quello che veniva dato in un primo momento. Una cosa di cui Bergoglio è senz’altro portatore e dà un significato, secondo me, non meno grande della sua azione diretta di salvataggio di persone, è stato quello di essere un vescovo che ha capito il bisogno di domandare perdono. Non un perdono generico di tipo moralistico, mediatico all’opinione pubblica, ma perdono a Dio, di quello che era stato un cammino in cui c’erano stati degli errori, ma che proprio grazie all’esercizio della penitenza poteva diventare anche un’esperienza di Grazia.







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