Il ministro Giovannini sul reddito minimo: un vero programma di inclusione sociale
Tra le novità della Legge di Stabilità, passata martedì al Senato, c’è una forma di
reddito minimo. Una fase sperimentale, per affrontare il tema della povertà partendo
dalle grandi aree metropolitane. Alessandro Guarasci ha sentito il ministro
del Lavoro Enrico Giovannini:
D. – Parte finalmente
il reddito minimo, quantomeno una prima sperimentazione. Come risponde a chi dice
che, tutto sommato, le risorse impiegate sono limitate?
R. – E’ qualcuno che
non ha letto bene i testi in modo coordinato. Quello che ieri il Senato ha definito
è un’aggiunta di 40 milioni all’anno per i prossimi tre anni al Fondo per la povertà,
che è stato utilizzato in passato con la social card tradizionale per circa
250 milioni, e oltre alle risorse che noi avevamo già stanziato – circa 170 milioni
per il Mezzogiorno e altri 50 milioni per i grandi comuni. In altre parole, quello
che è stato deciso ieri è proprio di allargare la sperimentazione della carta di inclusione
sociale, che non è soltanto la vecchia social card, a tutto il territorio nazionale:
questo è un passo propedeutico all’introduzione piena del sostegno per l’inclusione
sociale che abbiamo sviluppato nei mesi scorsi. Complessivamente, parliamo di circa
mezzo miliardo.
D. – Concretamente, a chi sarà rivolto?
R. – Già adesso
abbiamo visto che, nelle sperimentazioni dei grandi Comuni, questo tipo di sostegno
va a famiglie in particolare difficoltà economica, quindi con un reddito, con un Isee
particolarmente basso. Ma c’è un impegno ad avere non solo il trasferimento monetario
di sostegno alla famiglia, ma da un punto di vista della famiglia c’è un impegno a
cercare un lavoro in modo attivo, a mandare i figli a scuola regolarmente, a far fare
le visite mediche regolari… E’ un vero programma di inclusione sociale, analogo a
quello sviluppato in altri Paesi europei.
D. – Diciamo che però ci vuole una
forte collaborazione da parte degli enti locali, per far sì che non ci siano truffe…
R.
– Esattamente. Ed è per questo che parliamo di sperimentazione. Già con i grandi Comuni
abbiamo visto una serie di comportamenti che non necessariamente sono stati limpidi,
da parte di chi ha fatto domanda per ricevere questo sussidio. Questo è il modo corretto
di fare le politiche: procedere con sperimentazioni e poi, sulla base dei risultati
di queste sperimentazioni, fare la misura definitiva.
D. – Il contributo sulle
"pensioni d’oro" in qualche modo può essere considerato un’operazione di ridistribuzione
del reddito?
R. – Certamente sì, perché il contributo che era già stato inserito
nella proposta del governo con un contributo straordinario per i prossimi tre anni,
per le pensioni oltre 150 mila euro annue – e adesso è stato portato a 90 mila euro
– è un modo per ridistribuire da chi riceve di più, spesso non avendo versato quei
contributi corrispondenti alle pensioni, a chi invece è in maggiore difficoltà economica:
questo è esattamente uno dei modi per superare alcune delle difficoltà che la Corte
costituzionale aveva segnalato nei precedenti interventi sulle pensioni d’oro. Quindi,
abbiamo fatto tesoro di questa esperienza per disegnare una misura più corretta sul
piano istituzionale e giuridico.
D. – Però, diciamo che le pensioni di media
entità saranno rivalutate solo parzialmente. Questo non è un ostacolo anche alla ripresa
dei consumi, in Italia?
R. – In parte, questo è ancora in discussione – è stato
detto chiaramente anche dal viceministro Fassina – per un confronto alla Camera su
questi aspetti. Teniamo però anche presente che l’inflazione è straordinariamente
bassa, quindi la mancata rivalutazione per le fasce intermedie riguarda poche decine
di euro, o addirittura pochi euro. Quindi, vorrei ricordare la discussione che è stata
lanciata quando con la proposta del governo si parlava di dare una riduzione delle
imposte sui lavoratori che avrebbero portato nelle tasche circa 14 euro mediamente
ai lavoratori e si è scatenato l’inferno perché era troppo poco. In questo caso, invece,
poiché la mancata rivalutazione riguarda cifre molto contenute, vorrei che ci fosse
lo stesso atteggiamento di minimizzare la perdita di queste fasce di pensionati, che
pure vanno tutelate in vario modo.
D. – Per chiudere: lei, in passato, ha parlato
di una crescita, seppur moderata, senza occupazione – quantomeno questo è il rischio
e anche i sindacati lo paventano. Ad oggi, secondo lei, questo è ancora possibile?
Insomma, nel 2014 ci sarà una crescita del pil senza lavoro?
R. – E’ uno dei
rischi, ed è per questo che il governo ha messo in campo delle azioni proprio per
aumentare l’intensità occupazionale fin dall’inizio della ripresa. Con un aumento
della flessibilità buona – quella dei contratti a termine – sulla base di un accordo
tra imprese e sindacati, e accanto a questo, invece, un’incentivazione delle assunzioni
a tempo indeterminato di giovani soprattutto – ricordo che tra giovani, donne e over-50,
le incentivazioni in questi mesi hanno prodotto circa 30 mila posti di lavoro in più
a tempo indeterminato – tutti questi strumenti devono essere varati insieme, utilizzati
insieme perché non c’è un solo strumento da utilizzare. In questo senso, anche il
varo del piano per la "garanzia-giovani" dovrebbe aiutare proprio ad avere un’immissione
di giovani all’interno del sistema produttivo, nella fase di recupero della produzione.