Modifiche al Codice Deontologico medico: in pericolo l'obiezione di coscienza
I limiti all’obiezione di coscienza nel nuovo Codice di Deontologia medica. Questo
il tema del dibattito all'Università Campus Bio-Medico di Roma cui hanno partecipato,
tra gli altri, mons. Lorenzo Leuzzi, medico e vescovo ausiliare di Roma, e Riccardo
di Segnim medico e rabbino capo della Comunità ebraica romana. Il problema su cui
è importante scuotere l’opinione pubblica potrebbe segnare il futuro della medicina,
ma sta passando inosservato sui principali organi di stampa. Il servizio di Gabriella
Ceraso:
E’ in corso
la revisione del Codice di Deontologia Medica, che vedrà la luce nel 2014. Ma le bozze
di riforma che circolano preoccupano. In particolare, al centro dell’attenzione è
l’art. 22, che – se modificato – limiterebbe la libertà del medico all’obiezione di
coscienza, come spiega Renato Caviglia, medico e vicepresidente dell’Associazione
Medica Ebraica- Italia:
“La modifica prevede l’eliminazione della possibilità
di scegliere tra scienza o coscienza, imponendo di attenersi scrupolosamente a quelle
che sono le linee guida delle società scientifiche internazionali, seguendo pedissequamente
i dettami dell’etica e della tecnologia scientifica. Si tende ad inquadrare il medico
all’interno di paletti, lasciando pochissima libertà di scelta”.
Preoccupato
è il fronte clinico, ma anche quello etico-religioso. Mons. Andrea Manto, direttore
dell’Ufficio nazionale per la Pastorale della Salute della Conferenza episcopale italiana:
“Il
medico in scienza certo, ma anche in coscienza e cioè in una visione dell’umano, del
senso del suo agire, del rispetto della dignità della persona, è chiamato ad intervenire
prendendosi cura e non a esaudire la volontà del paziente, quasi che fosse sempre
e soltanto un 'tecnico' della salute.
Tra le motivazioni che spingono
a riformare il Codice, anche quelle economiche, ma non solo. Ancora mons. Andrea Manto:
“Pian piano, ci sono slittamenti negli strumenti normativi che si aprono
a un’idea di libertà malintesa e a una idea di coscienza precaria, dove un certo soggettivismo
e individualismo finisce per diventare un danno non solo per la coscienza del medico,
ma in fondo anche per il bene del paziente”.
Al dibattito, prendono parte
anche esponenti della comunità ebraica, perché l’obiezione di coscienza non è solo
questione cattolica. Ancora mons. Manto:
“Questo non ha un carattere confessionale.
E’ un’idea di riflessione, certo a partire dalla tradizione giudaico-cristiana, ma
è un’idea di riflessione che nasce dalla possibilità di comprendere più profondamente
l’umano. Credo che in questo modo possiamo davvero fare emergere in maniera piena
il valore della vita e della dignità della persona, che spesso viene minacciato proprio
quanto le si promette una libertà senza confini, che è illusoria, e una possibilità
di guarigione o una possibilità di intervento tecnico sulla salute di tipo miracolistico
o – se vogliamo – addirittura capace di evitare sofferenze, evitare ogni genere di
angoscia, che invece possono essere comprese e vissute - proprio perché ineliminabili
- solo nell’autenticità di un rapporto umano e nella visione più profonda della relazione
medico-paziente".