2013-11-23 14:08:23

Le fragilità di chi ha patito il suicidio di un congiunto al centro di una speciale Giornata


Si stima che per ogni suicidio ci siano almeno sei persone coinvolte nel lutto, con conseguenze devastanti e una maggiore predisposizione a compiere a loro volta il gesto estremo. Sono i cosiddetti survivors, i “sopravvissuti”: una popolazione ampia e variegata, ma per lo più sconosciuta, che non sempre trova assistenza. Sensibilizzare su questa tematica e fornire un aiuto concreto, è uno degli obiettivi del Servizio per la prevenzione al suicidio dell’Ospedale romano Sant’Andrea guidato da Maurizio Pompili. In occasione della Giornata internazionale dedicata ai survivors, Antonella Pilia lo ha intervistato su una realtà che affligge anche i più piccoli:RealAudioMP3

R. – Ovviamente, portandosi dietro un dramma così importante, possono anche loro ritenere il suicidio una chiave di lettura per porre fine alla loro sofferenza che può divenire insopportabile. Soprattutto, laddove non si può contare sulla comprensione dei servizi sociali e dei servizi di assistenza alla salute.

D. – Quindi, c’è una diversità di trattamento rispetto a persone colpite da altre tipologie di lutti…

R. - Ci sono sentimenti molto forti che prevalgono. Per primo, la colpa: “Se solo avessi fatto questo o quest’altro, forse avrei salvato la vita alla persona cara”; poi, c’è la rabbia, la necessità di trovare un sollievo, le immagini ricorrenti dell’evento traumatico. Inoltre, un senso di vergogna perché in qualche modo si è vissuta quell’esperienza del suicidio che la società cerca sempre di nascondere. Poi, lo stigma, un marchio peggiorativo posto su queste persone come se si avesse paura del contagio. Dunque, dall’esterno non c’è la solidarietà. Infine, vi è la ricerca infinita dei perché si è arrivati a questo dramma. Tutti questi elementi sono specifici del lutto riferito al suicidio e dovrebbero essere trattati con massima consapevolezza anche da coloro che devono veicolare l’assistenza.

D. – Quando ad affrontare questo trauma sono i bambini, cosa può succedere se manca la presenza ed il sostegno dei genitori?

R. – Non poter contare su una coesione familiare efficace, o sulla presenza di una figura genitoriale appropriata, rende le cose estremamente più difficili. Molte volte i genitori non hanno quella maturità affettiva, anche loro sono traumatizzati dagli eventi esterni. Risentono delle difficoltà dei figli e non sanno apportare un “contenimento” affettivo. In questo caso, se il bambino ha uno scompenso affettivo non riuscirà a superare quella difficoltà, non riuscirà a guardare il domani con fiducia.

D. – A livello scientifico, la fede può aiutare a superare un evento doloroso come la perdita di un caro?

R. – Penso fermamente di sì. Credere è sicuramente un sollievo e una chiave di lettura che altrimenti lascerebbe l’individuo in una situazione molto più disastrosa.

D. – Che tipo di aiuto offrite a queste persone?

R. – Molte volte cercano una sponda sicura sulla quale riversare la loro drammaticità. Ci raggiungono anche da diverse regioni. Noi li ascoltiamo e forniamo risposte per i cari che hanno perso un loro congiunto nel suicidio. È un momento di sollievo per poter essere compresi e quindi essere anche avviati a percorsi di breve durata, ma di sostegno in cui si rimane in contatto. Percorsi in cui loro stessi partecipano a manifestazioni - come la Giornata internazionale dei survivors - e portano il loro contributo alla prevenzione del suicidio.







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