Danza e magia dei Momix in scena a Roma fino al primo dicembre
Si chiama "Alchemy" ed è l’ultima affascinante creazione del geniale coreografo americano,
Moses Pendleton, per la sua compagnia dei Momix. In scena al teatro Olimpico
di Roma fino al primo dicembre, lo spettacolo è dedicato al pubblico di ogni età che
vuole vivere nella danza anche l’emozione della magia, del sogno e del trasformismo,
perchè è questo che Pendleton porta in scena ogni volta. Gabriella Ceraso lo
ha intervistato:
R. – I think…
you mentioned the words magic, mystery, illusion… Penso… lei ha menzionato le parole
magico, mistero, illusione: tutte rappresentano tratti positivi quando si esplora
la natura. Credo che ogni volta che si voglia richiamare l’attenzione del pubblico,
bisogna creare qualcosa – secondo me – tra suono e luce, una sorta di immagine che
stimoli, appunto, l’immaginazione. Infatti, questo accade quando inizi a diventare
più attivo. E se sei stimolato in questo modo, anche l’immaginazione è stimolata:
l’occhio, nel vedere qualcosa che non ha mai visto prima, vive un’esperienza nuova.
Cresci. E questo è quello che io spero di ottenere. Spero di ottenere questa sorta
di stato sognante, questa sorta di trance magica e che sia piuttosto sogno
che incubo. E credo che questo lasci la gente con il desiderio di riflettere su quello
che ha appena sperimentato. E credo che questa sia una cosa buona.
D. – I suoi
ballerini in scena hanno la grande capacità di trasformarsi assumendo diverse sembianze,
oggetti, animali, forme geometriche... Qual è per lei il ruolo, la funzione del corpo
di un ballerino?
R. – Well, the body is extended into other forces in nature… Il
corpo, in natura, si identifica con altre forze: piante, animali, minerali… Il corpo
è un veicolo che consente di inserirsi in altri corpi che sono più che umani. Il mio
senso dell’estetica si è sempre interessato nell’osservare come il corpo umano prenda
contatto con quanto è non umano, la luce pura, e come il corpo possa essere visto
in modi diversi… I Momix hanno un grande allenamento atletico alle spalle: il loro
corpo è il loro strumento per esprimere un intero corpo di nuove immagini. Si tratta
di un teatro fortemente visuale e fisico, che ci aiuta a metterci in contatto. Vede,
noi tutti abbiamo un corpo e per questo la danza è affascinante. Noi ci identifichiamo
con il corpo umano, perché tutti noi abbiamo un corpo. E questa è una forza, quella
che viene dal corpo, che è necessaria ai danzatori di Momix per essere, in un certo
senso, super-umani. Fanno ogni sorta di cose strabilianti, ma in tutte c’è un’identificazione.
D.
– Perché ha scelto per il suo spettacolo il nome “Alchemy”?
R. – “Alchemy”
is a very interesting study. These are the ancient chemists… “Alchemy” è uno studio
molto interessante. Gli alchimisti erano gli antichi farmacisti e l’idea di fondo
degli alchimisti era quella di cercare di creare, attraverso la chimica – in quei
tempi antichi – cioè attraverso il fuoco, il mistero e la magia, qualcosa che assomigliasse
all’elisir della vita, una sostanza che consentisse di vivere più a lungo. Ecco, questi
erano i primi ‘farmacisti’. Oggi, i farmacisti gestiscono compagnie farmaceutiche,
frequentano Google e tutti cercano di cambiare la specie umana, attraverso la chimica.
“Alchemy” segue il cliché classico, quello di trasformare piombo in oro, laddove trasformare
piombo in oro non ha un significato soltanto realistico o letterale: ma parliamo di
quel piombo che c’è nella nostra anima che deve essere messo sotto controllo e perfezionato
per diventare oro, per portare frutti e diventare più leggero. “Alchemy” per me è
come Momix: potrebbe essere sinonimo di “Alchemy”, perché l’idea portante è quella
del “mix”. L’alchimia tratta con acqua e fuoco – come faccio io nello spettacolo –
con l’immaginario dell’aria e della terra e alla fine, con qualcosa che assomiglia
all’oro. Ma è il modo in cui l’alchimia mescola il fuoco con l’acqua, come il femminile
si mescola con il maschile… Mi è piaciuta la ricerca e vedo che il principio fondante
di Momix, con la sua idea di illusione e di trasformazione, con i cambiamenti di forma
e con questo tipo di velocità, l’ho sempre vista come una sorta di processo di alchimia.
D.
– Quando lei scrive una coreografia, qual è la prima cosa a cui pensa? Il movimento
da creare, gli oggetti da usare, il messaggio da lanciare…
R. – Yes, the first
thing I think with Momix, we think about the picture… La prima cosa a cui penso,
con i Momix, è il quadro, come un pittore o uno scultore. Prima facciamo un quadro,
e poi ci mettiamo la musica, la luce… Certo, la luce serve per identificare l’idea
finale. Ma la maggior parte di tutto questo non avviene con passi di danza: la danza,
la coreografia viene dopo. Prima creiamo l’immagine visiva e poi la facciamo muovere
nello spazio-tempo e da lì nasce la coreografia.