2013-11-23 15:07:45

Danza e magia dei Momix in scena a Roma fino al primo dicembre


Si chiama "Alchemy" ed è l’ultima affascinante creazione del geniale coreografo americano, Moses Pendleton, per la sua compagnia dei Momix. In scena al teatro Olimpico di Roma fino al primo dicembre, lo spettacolo è dedicato al pubblico di ogni età che vuole vivere nella danza anche l’emozione della magia, del sogno e del trasformismo, perchè è questo che Pendleton porta in scena ogni volta. Gabriella Ceraso lo ha intervistato:RealAudioMP3

R. – I think… you mentioned the words magic, mystery, illusion…
Penso… lei ha menzionato le parole magico, mistero, illusione: tutte rappresentano tratti positivi quando si esplora la natura. Credo che ogni volta che si voglia richiamare l’attenzione del pubblico, bisogna creare qualcosa – secondo me – tra suono e luce, una sorta di immagine che stimoli, appunto, l’immaginazione. Infatti, questo accade quando inizi a diventare più attivo. E se sei stimolato in questo modo, anche l’immaginazione è stimolata: l’occhio, nel vedere qualcosa che non ha mai visto prima, vive un’esperienza nuova. Cresci. E questo è quello che io spero di ottenere. Spero di ottenere questa sorta di stato sognante, questa sorta di trance magica e che sia piuttosto sogno che incubo. E credo che questo lasci la gente con il desiderio di riflettere su quello che ha appena sperimentato. E credo che questa sia una cosa buona.

D. – I suoi ballerini in scena hanno la grande capacità di trasformarsi assumendo diverse sembianze, oggetti, animali, forme geometriche... Qual è per lei il ruolo, la funzione del corpo di un ballerino?

R. – Well, the body is extended into other forces in nature…
Il corpo, in natura, si identifica con altre forze: piante, animali, minerali… Il corpo è un veicolo che consente di inserirsi in altri corpi che sono più che umani. Il mio senso dell’estetica si è sempre interessato nell’osservare come il corpo umano prenda contatto con quanto è non umano, la luce pura, e come il corpo possa essere visto in modi diversi… I Momix hanno un grande allenamento atletico alle spalle: il loro corpo è il loro strumento per esprimere un intero corpo di nuove immagini. Si tratta di un teatro fortemente visuale e fisico, che ci aiuta a metterci in contatto. Vede, noi tutti abbiamo un corpo e per questo la danza è affascinante. Noi ci identifichiamo con il corpo umano, perché tutti noi abbiamo un corpo. E questa è una forza, quella che viene dal corpo, che è necessaria ai danzatori di Momix per essere, in un certo senso, super-umani. Fanno ogni sorta di cose strabilianti, ma in tutte c’è un’identificazione.

D. – Perché ha scelto per il suo spettacolo il nome “Alchemy”?

R. – “Alchemy” is a very interesting study. These are the ancient chemists…
“Alchemy” è uno studio molto interessante. Gli alchimisti erano gli antichi farmacisti e l’idea di fondo degli alchimisti era quella di cercare di creare, attraverso la chimica – in quei tempi antichi – cioè attraverso il fuoco, il mistero e la magia, qualcosa che assomigliasse all’elisir della vita, una sostanza che consentisse di vivere più a lungo. Ecco, questi erano i primi ‘farmacisti’. Oggi, i farmacisti gestiscono compagnie farmaceutiche, frequentano Google e tutti cercano di cambiare la specie umana, attraverso la chimica. “Alchemy” segue il cliché classico, quello di trasformare piombo in oro, laddove trasformare piombo in oro non ha un significato soltanto realistico o letterale: ma parliamo di quel piombo che c’è nella nostra anima che deve essere messo sotto controllo e perfezionato per diventare oro, per portare frutti e diventare più leggero. “Alchemy” per me è come Momix: potrebbe essere sinonimo di “Alchemy”, perché l’idea portante è quella del “mix”. L’alchimia tratta con acqua e fuoco – come faccio io nello spettacolo – con l’immaginario dell’aria e della terra e alla fine, con qualcosa che assomiglia all’oro. Ma è il modo in cui l’alchimia mescola il fuoco con l’acqua, come il femminile si mescola con il maschile… Mi è piaciuta la ricerca e vedo che il principio fondante di Momix, con la sua idea di illusione e di trasformazione, con i cambiamenti di forma e con questo tipo di velocità, l’ho sempre vista come una sorta di processo di alchimia.

D. – Quando lei scrive una coreografia, qual è la prima cosa a cui pensa? Il movimento da creare, gli oggetti da usare, il messaggio da lanciare…

R. – Yes, the first thing I think with Momix, we think about the picture…
La prima cosa a cui penso, con i Momix, è il quadro, come un pittore o uno scultore. Prima facciamo un quadro, e poi ci mettiamo la musica, la luce… Certo, la luce serve per identificare l’idea finale. Ma la maggior parte di tutto questo non avviene con passi di danza: la danza, la coreografia viene dopo. Prima creiamo l’immagine visiva e poi la facciamo muovere nello spazio-tempo e da lì nasce la coreografia.







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