Obama ricorda l’impronta indelebile di Kennedy sulla storia americana
Celebriamo "l'impronta indelebile di Kennedy sulla storia americana": così, si è pronunciato
Barack Obama nel giorno del 50.mo anniversario dell’uccisione di John Fitzgerald Kennedy,
35.mo presidente degli Stati Uniti. Obama ha visitato la tomba del suo predecessore
ad Arlington, mentre cinquemila persone hanno partecipato alle cerimonie di Dallas,
la città dove Kennedy fu assassinato il 22 novembre 1963. Fausta Speranza ha
intervistato Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali
all’Università del Salento:
R. – Diciamo
che, nella storia americana, dopo la morte del presidente Kennedy e quindi la morte
della speranza, dell’innocenza, gli americani e molti europei sono stati alla ricerca
di un nuovo Kennedy e di quello che avrebbe rappresentato. Obama non avrebbe mai potuto
dire una cosa diversa da quello che ha detto di Kennedy anche perché il presidente
Obama è forse quello che nella storia è stato maggiormente identificato come continuatore
della vita e degli ideali di Kennedy. Ideali che, però, alla fine – diciamolo chiaramente
– sono stati realizzati non da lui ma dal suo successore, e cioè dal presidente Johnson:
molti, però, dimenticano questo "piccolissimo" particolare.
D. – Ricordiamo
questi ideali?
R. – Gli ideali della "nuova frontiera" si sono trasformati
nella "grande società" johnsoniana, cioè i diritti civili per tutti, la difesa della
sicurezza nazionale, nel tentativo però sempre di non ledere i diritti dei singoli
all’interno degli Stati Uniti. Ciò che Kennedy ha detto, nel suo famoso discorso –
e cioè di non pensare a quello che l’America può fare per i cittadini ma l'opposto
– é più che altro pensare alla difesa individuale dei cittadini. E questa è una cosa
che è stata rilanciata da Kennedy, ma poi sviluppata ed approvata dal presidente Johnson,
soprattutto con la legge sui diritti civili e con il diritto di voto ai neri.
D.
– Obama ha reso omaggio alla tomba di Kennedy, nei giorni scorsi, e nel giorno stesso
dell’anniversario, però, ha scelto di non essere a Dallas, dove quest’anno si celebra
il 50.mo anniversario della morte, mentre ha scelto di incontrare rappresentanti dell’Associazione
di volontariato “Peace Corps”. Vogliamo commentare questa scelta?
R. – Questo
è stato forse l’organismo di volontari per la diffusione del benessere nel mondo che
rappresenta il segno indelebile, la vera eredità del presidente Kennedy: far sì che
i giovani prendessero magari un anno sabatico impegnandosi per almeno un anno per
aiutare le popolazioni in difficoltà. Diciamo che quello che fanno le ong oggi sono
un po’ le emanazioni dei discorsi pronunciati dal presidente Kennedy.
D. –
Se è vero che Kennedy ha lasciato un’impronta indelebile nella storia del dopo-John
Fitzgerald Kennedy, è anche vero che lui stesso era in continuità con la storia americana,
ne era un "prodotto"…
R. – Assolutamente sì. Lui non è uscito dai canoni della
storia americana, né in politica interna né in politica estera, soprattutto in politica
estera. Non dimentichiamo che il presidente Kennedy non è stato quello che definiamo
un progressista in politica estera, anzi. Ara un cold warrior, un convinto
“guerriero” della Guerra fredda, che in più occasioni – ricordo il Vietnam, ricordo
Cuba – ha saputo fronteggiare fermamente l’Unione Sovietica come un qualsiasi altro
presidente, soprattutto come il suo predecessore, il generale Eisenhower, che sicuramente
veniva da una tradizione politica molto diversa da quella di Kennedy, in quanto repubblicano.