Chiese orientali. Cristiani dell'area "fortemente penalizzati" da guerre e instabilità
La geografia dei cristiani in Medio Oriente ha i confini del dramma, dovunque la si
guardi in questo momento storico. Lo evidenzia la Congregazione per le Chiese Orientali,
nel comunicato conclusivo dei lavori iniziati martedì scorso e terminati ieri, alla
presenza dei massimi responsabili dei vari riti dell’Oriente cattolico. I cristiani
in Medio Oriente, si legge nel comunicato del dicastero, sono “fortemente penalizzati
dagli effetti della guerra in Iraq, dall’attuale situazione in Siria, senza dimenticare
l’irrisolta questione israelo-palestinese e il travaglio per la rinascita di un Egitto
plurale”. La loro condizione di sofferenza si intreccia con il fenomeno migratorio
che oggi e nel passato ha portato molti cattolici del Medio Oriente a radicarsi in
Nord e Sud America, in Canada e in Australia, imponendo la necessità che i capi delle
Chiese Patriarcali e Arcivescovili maggiori possano esserlo, si sottolinea, “realmente
ovunque siano i loro figli, oggi ben oltre i confini considerati ‘propri’, e con le
proprie rispettive tradizioni e discipline”. Una situazione che ha posto in rilievo,
durante la Plenaria, il bisogno che siano “pensate e progressivamente sviluppate strutture
amministrative ecclesiali proprie che, nel contesto della nuova evangelizzazione,
animino secondo la propria tradizione spirituale e liturgica la vita delle numerose
comunità nei Paesi di occidente”.
Nel comunicato conclusivo, si fa cenno anche
alla dimensione ecumenica, nel cui contesto si auspica possa essere sempre presente
un “atteggiamento fecondo di autentica fraternità” e di “paziente riconciliazione
in presenza di ferite storiche o più recenti (si pensi ai Paesi dei regimi ex-sovietici)”.
Circa il dialogo interreligioso, invece, le Chiese orientali notano come esso sia
vissuto “testimoniando la carità nel campo dell’assistenza e della formazione, per
il bene di tutte quelle Nazioni nelle quali i cristiani sono cittadini ab origine,
fin dagli inizi dell'evangelizzazione, prima di altri popoli e confessioni religiose”.
La
plenaria aveva avuto al centro dei lavori una riflessione sul Vaticano II a mezzo
secolo dalla sua conclusione. A venire alla luce dalla riflessione comune è stato
soprattutto “il valore della diversità nell’unità, che ha nella comunione delle Chiese
Orientali con il Vescovo di Roma l’esempio di “una ricchezza la cui luce non solo
non deve venire offuscata, ma ancora e sempre più in profondità – è l’augurio – va
conosciuta dagli stessi loro figli, oltre che da Pastori e fedeli latini”. In un clima
“unanimemente apprezzato per la sua armonia”, i lavori della Plenaria hanno pure affrontato
il tema della sinodalità. Pur con le dovute differenze dal punto di vista canonico,
si può affermare – osserva il comunicato – che “l’esperienza della sinodalità, così
radicata nella tradizione orientale, abbia mostrato la sua fecondità come metodo di
lavoro, sempre in quella tensione positiva al dialogo con il Pastore Universale”,
messa in luce da Papa Francesco nell’udienza di ieri ai partecipanti. (A cura di
Alessandro De Carolis)