Scomparso Marcello D'Orta, autore di "Io speriamo che me la cavo". Il ricordo del
figlio sacerdote
Dopo una lunga lotta contro il cancro, si è spento, a 60 anni, Marcello D’Orta, il
maestro elementare e scrittore partenopeo divenuto famoso con il libro “Io speriamo
che me la cavo”. A celebrare le esequie, a Napoli, è stato il figlio Giacomo,
giovane sacerdote dell’Ordine religioso dei Minimi di San Francesco di Paola. Antonella
Pilia ha raccolto la sua testimonianza:
R. - Mio padre
era una persona colta, era un intellettuale; ma era prima di tutto un uomo meraviglioso,
un cristiano autentico. Quello che desidero è che sia ricordato come un uomo che ha
veramente creduto ed è stato figlio della Chiesa, un cattolico modello, come si potrebbe
dire. Proprio perché si era lasciato plasmare dal Signore in tutte le sue vie, in
un progresso sempre costante, ha cercato di mettere in pratica i talenti che il Signore
gli aveva offerto nell’ascolto delle parole del Maestro divino.
D. - Quanto
è stata importante l’educazione ricevuta nella sua scelta vocazionale?
R. -
Mio padre e mia madre hanno contribuito alla mia formazione cristiana, come è giusto
che i genitori facciano, perché sono coloro che ti devono guidare sulla via del bene
senza nessun relativismo, e questo Benedetto XVI tanto volte ce lo ha ricordato. In
realtà, nel mio caso personale, di sacerdote, loro non mi hanno mai spinto, ma è stata
la naturale condizione nella quale la chiamata di Dio si è potuta esprimere.
D.
- Al centro dei suoi libri ci sono scuola e abbandono scolastico, camorra, emergenza
rifiuti; temi sempre affrontati attraverso la voce innocente dei bambini …
R.
- Papà ha sempre amato i bambini ed è andato anche oltre lo stretto dovere di maestro
elementare; per farlo bene bisogna essere maestri di vita. Papà anche dopo la scuola
andava a casa loro per cercare di non limitare il rapporto maestro-scolaro a un solo
discorso cattedratico. Proprio perché maestro - non con la “m” maiuscola perché ce
n’è uno -, ma maestro di quelli veri, sapeva che il discorso doveva innanzi tutto
essere improntato su criteri umani, di amore umano.
D. - Si ricorda di qualche
alunno di suo padre che grazie al suo esempio ha cambiato strada?
R. - Personalmente
non sono a conoscenza delle storie di vita degli alunni. Ma, quando con papà ho avuto
occasione di parlare di questo argomento, mi ricordava che, essendosi sentito con
alcuni di loro, era sollevato per la strada che avevano intrapreso.
D. - Nel
2010 la scoperta della malattia. Come ha affrontato questa prova?
R. - Molto
semplicemente, da cristiano vero. Mio padre, certamente, ha potuto elevare a Dio la
sua preghiera con tanto dolore magari; si pregava in famiglia con il Rosario, si commentava
la Parola del Signore … É idilliaco quello che sto descrivendo, ma se non ne fossi
stato testimone, quasi quasi non mi crederei neanche io.
D. - Insieme a lei
suo padre stava lavorando ad un ultimo libro …
R. - Sempre più conscio di questa
importanza di portare la figura di Gesù tra i bambini, decise di scrivere questo libro
che è diviso in due parti: nella prima parte è composta da temi, e nella seconda aveva
intenzione di descrivere ai bambini gli aspetti della vita del Signore. Il suo libro
è stato fatto a tre mani, non a quattro, nel senso che io in qualità di teologo ho
concorso per controllare l’esattezza di alcune sue descrizioni, e qualche volta abbiamo
lavorato insieme sul testo. Quindi un libro che parla di Gesù, perché se si formano
i bambini al Signore e si fa comprendere loro l’importanza, allora veramente tutto
può cominciare a cambiare.