Ripresi a Ginevra all'insegna dell'incertezza i colloqui sul nucleare iraniano
Segnali contraddittori hanno caratterizzato mercoledì a Ginevra la prima delle tre
giornate del nuovo round negoziale fra l'Iran e le potenze del gruppo 5+1 (i cinque
membri permanenti del Consiglio di Sicurezza - Usa, Russia, Cina, Regno Unito e Francia
- più la Germania) sullo spinoso dossier nucleare. L'obiettivo resta quello di un
accordo preliminare in grado di rassicurare il mondo che il programma iraniano non
punti alla bomba atomica, in cambio di un primo allentamento delle sanzioni su Teheran.
Ma i tempi appaiono incerti. Sempre mercoledì a freddare gli entusiasmi ci sono state
le dichiarazioni dell’Ayatollah Khamenei, guida spirituale del Paese, che sostiene
che Teheran “non cederà di una virgola”. Per una valutazione del suo intervento e
del possibile accordo sulla questione nucleare iraniana, Fausta Speranza ha
intervistato Giorgio Alba, dell’Archivio Disarmo:
R. – Possiamo
valutare le dichiarazioni come un messaggio politico, che non cambia la sostanza dei
negoziati tecnici e finanziari in corso. La questione è rimuovere le sanzioni, parte
delle sanzioni, e bloccare parte del programma tecnico-scientifico in corso in Iran.
Questo scambio, questo accordo ha una base politica e il messaggio generale è che
se c’è un accordo che può trovare apprezzamento nei gruppi di interesse dei rispettivi
Paesi, questo accordo ci può essere, altrimenti la situazione è soddisfacente così
com’è: le sanzioni cioè non stanno danneggiando né il programma di ricerca, di sviluppo
industriale e scientifico iraniano, né stanno danneggiando gli interessi economici
di chi detiene il potere.
D. – Sembra un po’ per certi aspetti che gli Stati
Uniti siano un po’ soli nel volere questo accordo con l’Iran, che è un punto fermo
dell’amministrazione Obama...
R. – Certamente. Obama ha raccolto il ruolo storico
degli Stati Uniti di garante della stabilità del Medio Oriente, un ruolo guadagnato
dopo la Seconda Guerra Mondiale. Questo ruolo può essere portato avanti in diversi
modi: sia attraverso l’azione militare sia attraverso accordi diplomatici. Obama ha
tentato principalmente la seconda strada e questo comporta però che gli interessi
degli Stati Uniti siano di una superpotenza, che si è fatta carico appunto di proteggere
la stabilità e gli interessi di tutti i Paesi dell’area; mentre altri Paesi sia dell’area
sia in Europa possono avere degli interessi regionali più specifici, più connessi
con le proprie industrie, più connessi con le commesse, gli acquisti di armi o quantomeno
per il ruolo, l’aspirazione ad essere una potenza nell’area. C’è, quindi, un contrasto
di interessi, c’è una difformità di interessi, ma questo è riconducibile al ruolo
storico. Non sono isolati gli Stati Uniti, ma ci sono delle scelte specifiche che
non sempre trovano il pieno appoggio da parte degli alleati.
D. – Parliamo
di Israele, sembra proprio netta la decisione di essere contro questo accordo...
R.
– La decisione di Israele di essere contro questo accordo risale ad una situazione
geopolitica. Israele è l’unico Paese in Medio Oriente ad avere armi nucleari, anche
se non le ha dichiarate ufficialmente. Questo ha fatto sì che Israele scegliesse in
passato l’azione militare – penso all’Iraq – e l’azione militare anche contro la Siria
e altri Paesi, per impedire che ci fosse un secondo Paese interessato ad acquisire
questa tecnologia. Fino a quando, quindi, Israele non deciderà di rinunciare alle
armi nucleari e quindi favorire la creazione di un’area libera, l’area per le armi
nucleari in Medio Oriente - e ci sono negoziati in corso anche per questo – finché
non verrà presa questa decisione, sarà nell’interesse di Israele impedire la nascita
di questo secondo Paese. Di questo passo, il secondo Paese è l’Iran. In futuro ci
potrebbero essere altri Paesi. Il percorso che sta facendo l’Iran è molto sofisticato:
sta lentamente avvicinandosi ad una capacità tecnologica ed industriale. Questo mette
in estrema difficoltà Israele ed anche gli Stati Uniti, perché non è una sfida aperta,
cui può essere data facilmente una risposta militare, ma è una sfida che si basa su
delicati equilibri, e questi delicati equilibri spesso pongono Israele in contrasto
con gli Stati Uniti.