2013-11-21 14:52:15

Ripresi a Ginevra all'insegna dell'incertezza i colloqui sul nucleare iraniano


Segnali contraddittori hanno caratterizzato mercoledì a Ginevra la prima delle tre giornate del nuovo round negoziale fra l'Iran e le potenze del gruppo 5+1 (i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza - Usa, Russia, Cina, Regno Unito e Francia - più la Germania) sullo spinoso dossier nucleare. L'obiettivo resta quello di un accordo preliminare in grado di rassicurare il mondo che il programma iraniano non punti alla bomba atomica, in cambio di un primo allentamento delle sanzioni su Teheran. Ma i tempi appaiono incerti. Sempre mercoledì a freddare gli entusiasmi ci sono state le dichiarazioni dell’Ayatollah Khamenei, guida spirituale del Paese, che sostiene che Teheran “non cederà di una virgola”. Per una valutazione del suo intervento e del possibile accordo sulla questione nucleare iraniana, Fausta Speranza ha intervistato Giorgio Alba, dell’Archivio Disarmo:RealAudioMP3

R. – Possiamo valutare le dichiarazioni come un messaggio politico, che non cambia la sostanza dei negoziati tecnici e finanziari in corso. La questione è rimuovere le sanzioni, parte delle sanzioni, e bloccare parte del programma tecnico-scientifico in corso in Iran. Questo scambio, questo accordo ha una base politica e il messaggio generale è che se c’è un accordo che può trovare apprezzamento nei gruppi di interesse dei rispettivi Paesi, questo accordo ci può essere, altrimenti la situazione è soddisfacente così com’è: le sanzioni cioè non stanno danneggiando né il programma di ricerca, di sviluppo industriale e scientifico iraniano, né stanno danneggiando gli interessi economici di chi detiene il potere.

D. – Sembra un po’ per certi aspetti che gli Stati Uniti siano un po’ soli nel volere questo accordo con l’Iran, che è un punto fermo dell’amministrazione Obama...

R. – Certamente. Obama ha raccolto il ruolo storico degli Stati Uniti di garante della stabilità del Medio Oriente, un ruolo guadagnato dopo la Seconda Guerra Mondiale. Questo ruolo può essere portato avanti in diversi modi: sia attraverso l’azione militare sia attraverso accordi diplomatici. Obama ha tentato principalmente la seconda strada e questo comporta però che gli interessi degli Stati Uniti siano di una superpotenza, che si è fatta carico appunto di proteggere la stabilità e gli interessi di tutti i Paesi dell’area; mentre altri Paesi sia dell’area sia in Europa possono avere degli interessi regionali più specifici, più connessi con le proprie industrie, più connessi con le commesse, gli acquisti di armi o quantomeno per il ruolo, l’aspirazione ad essere una potenza nell’area. C’è, quindi, un contrasto di interessi, c’è una difformità di interessi, ma questo è riconducibile al ruolo storico. Non sono isolati gli Stati Uniti, ma ci sono delle scelte specifiche che non sempre trovano il pieno appoggio da parte degli alleati.

D. – Parliamo di Israele, sembra proprio netta la decisione di essere contro questo accordo...

R. – La decisione di Israele di essere contro questo accordo risale ad una situazione geopolitica. Israele è l’unico Paese in Medio Oriente ad avere armi nucleari, anche se non le ha dichiarate ufficialmente. Questo ha fatto sì che Israele scegliesse in passato l’azione militare – penso all’Iraq – e l’azione militare anche contro la Siria e altri Paesi, per impedire che ci fosse un secondo Paese interessato ad acquisire questa tecnologia. Fino a quando, quindi, Israele non deciderà di rinunciare alle armi nucleari e quindi favorire la creazione di un’area libera, l’area per le armi nucleari in Medio Oriente - e ci sono negoziati in corso anche per questo – finché non verrà presa questa decisione, sarà nell’interesse di Israele impedire la nascita di questo secondo Paese. Di questo passo, il secondo Paese è l’Iran. In futuro ci potrebbero essere altri Paesi. Il percorso che sta facendo l’Iran è molto sofisticato: sta lentamente avvicinandosi ad una capacità tecnologica ed industriale. Questo mette in estrema difficoltà Israele ed anche gli Stati Uniti, perché non è una sfida aperta, cui può essere data facilmente una risposta militare, ma è una sfida che si basa su delicati equilibri, e questi delicati equilibri spesso pongono Israele in contrasto con gli Stati Uniti.

Ultimo aggiornamento: 22 novembre







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