2013-11-21 14:19:49

L'America ricorda oggi John Kennedy nel 50° anniversario del suo assassinio


L'America ricorda oggi John Fitzgerald Kennedy nel 50° anniversario dell’assassinio dell’ex presidente, avvenuto a Dallas il 22 novembre 1963. “Questo è il giorno in cui celebrare l'impronta indelebile di Kennedy sulla nostra storia” – ha affermato il presidente Obama, che martedì scorso ha visitato la tomba di Kennedy al cimitero di Arlington, ma non sarà oggi alle celebrazioni in programma a Dallas. Un “crimine ignobile” che “ci lascia profondamente scioccati”. Con queste parole, Paolo VI accoglieva la notizia dell’uccisione di Kennedy, incontrato in udienza il 2 luglio del ’63. E sul significato che assunse all’epoca l’uccisione di Kennedy e l’attualità della sua figura, Alessandro Gisotti ha intervistato Agostino Giovagnoli, storico dell’Università Cattolica di Milano: RealAudioMP3

R. - È stato il primo presidente cattolico degli Stati Uniti e questo aveva costituito come una sorta di grande novità, di grande speranza, di grande attesa per i cattolici di tutto il mondo. Paolo VI, che aveva incontrato Kennedy pochi mesi prima, rimase profondamente turbato da questo evento che sembrava in qualche modo incrinare quelle speranze dei primi anni ’60, all’interno dei quali si colloca anche l’elezione dello stesso Paolo VI e le speranza che hanno accompagnato l’inizio del suo pontificato.

D. – Questo anche perché Giovanni XXIII, come poi Paolo VI, guardavano con simpatia l’azione dell’amministrazione Kennedy rispetto ai diritti civili dei neri; lo stesso Paolo VI lo aveva detto, nel discorso a Kennedy, nel 2 luglio del ‘63.

R. – Certamente. Proprio in un discorso del giugno ’63 - pochi giorni prima di incontrare Paolo Vi - Kennedy pronunciò un discorso molto importante sugli studenti neri dell’Alabama che erano stati esclusi dall’università. Fece un radiomessaggio nazionale, molto forte e molto incisivo, in difesa del diritto di questi ragazzi di iscriversi all’università. Si è criticato Kennedy perché è stato “uomo di parola e poco di fatti” ma - a parte la brevità della sua presidenza - credo che bisogna rivalutare le parole, perché ci sono parole che sono più importanti dei fatti. Kennedy è stato un uomo che ha saputo dire parole importanti per interpretare le attese, le speranze e la volontà di cambiamento del mondo proprio nel suo tempo.

D. – Poi, ovviamente, quella stagione breve, intensa e drammatica della crisi di Cuba, con questo rapporto a distanza con Giovanni XXIII, che per altro voleva ricevere Kennedy nel luglio del ’63 ma morì e ci fu il Conclave in mezzo. Fu regalata a Kennedy la Pacem in terris autografata da Giovanni XXIII. Questo dono post mortem commosse anche molto lo stesso Kenney…

R. – Non c’è dubbio. La Pacem in terris è strettamente legata all’evento di Cuba; l’idea di scrivere un’Enciclica interamente dedicata al tema della pace nasce proprio dalla crisi di Cuba. E a questa crisi il Papa non fu estraneo: Giovanni XXIII fu coinvolto in quella crisi, fu coinvolto pubblicamente e le parole che egli disse per la pace sono note. Fu coinvolto anche per via diplomatica, perché proprio a nome di Kennedy l’americano (Cousin) contattò la Segreteria di Stato, sollecitò l’intervento del Papa e quell’intervento ci fu. Dunque, forse, dobbiamo anche a Giovanni XXIII se poi la guerra non è scoppiata durante la crisi di Cuba. Credo che Kennedy fosse grato al Papa per questo suo intervento.

D. – Man mano che passano gli anni magari escono documenti e il giudizio degli storici si fa a volte anche più severo nei confronti dell’amministrazione Kennedy, anche se ovviamente il giudizio rimane sempre incompleto perché è una vita “incompiuta”, quindi anche politicamente “incompiuta”. Tuttavia, il mito, l’immagine di John Kennedy resta quasi intoccabile, intangibile nonostante revisionismi, scandali… Perché secondo lei?

R. – Perché credo che effettivamente Kennedy ha rappresentato la voce della speranza. Non è solo merito suo. Ha saputo interpretare un’epoca, un’attesa, una volontà di cambiamento che era molto forte. Naturalmente il bilancio della presidenza Kennedy presenta luci ed ombre, ma questo è normale; qualunque vicenda politica presenta luci ed ombre. Piuttosto, oggi vedo in atto un tentativo “minimalista” che è quello di banalizzare tutto: per cui non si parla tanto di Kenney come uomo politico, ma della sua vita privata, i gossip… E’ un minimalismo che rispecchia un po’ i nostri tempi, tempi “avari di visioni” come diceva Giovanni Paolo II. Per questo credo che ci faccia bene ricordare Kennedy, non per farne un mito ma per ricordare che si può anche non essere minimalisti ed avere grandi visioni.

John Fitzgerald Kennedy “ha incarnato il carattere del popolo che ha guidato: resistente, risoluto e senza paura”. Così il presidente statunitense Obama ha ricordato, mercoledì, il suo predecessore, di cui oggi ricorre il 50.mo anniversario dell’assassinio, avvenuto il 22 novembre 1963. E JFK è stato ricordato, mercoledì, anche alla Radio Vaticana, nel convegno “La grande speranza kennediana 50 anni dopo”, organizzato dall’Ucsi, Unione Cattolica Stampa Italiana. Il servizio di Davide Maggiore:RealAudioMP3

Ricordare Kennedy per quello che ha fatto da vivo, e non per la sua morte. È stato questo il filo conduttore del convegno, che ha messo a confronto vari giudizi storici sulla sua figura, partendo dal punto di vista della Chiesa sul primo e unico presidente cattolico della storia degli Stati Uniti d'America. Solo con la disponibilità di tutti i documenti storici si potrà dare una valutazione completa di questo aspetto, ha ricordato il prof. Matteo Luigi Napolitano, delegato del Pontificio Comitato di Scienze Storiche presso l’International Committee for the Second World War, e docente di Storia contemporanea all'Università del Molise. Senza dubbio, però, ha sottolineato Napolitano, la Chiesa guardava con attenzione al mandato di Kennedy con un particolare sguardo ai Paesi del Terzo Mondo alla luce dei processi di decolonizzazione in corso nel mondo in quella fase storica e alla questione dei diritti civili all’interno degli Stati Uniti. Sul giudizio storico della figura di Kennedy, 50 anni dopo la morte, il pensiero di Germano Dottori, docente di Studi Strategici all’università Luiss di Roma:

“Il dibattito è in corso. Siamo passati da un periodo nel quale dell’eredità 'kennediana' si conservavano e valutavano soprattutto gli aspetti più positivi ed eclatanti, ad un periodo – quello che stiamo attraversando – in cui sta prevalendo una valutazione più sobria del personaggio. Per quello che riguarda il mio punto di vista sulla politica estera, non ho alcun dubbio che Kennedy debba essere collegato al tempo in cui è vissuto e debba essere considerato come un tipico presidente della Guerra Fredda: un presidente impegnato a conservare agli Stati Uniti una posizione forte e di supremazia, sia nei confronti dell’Unione Sovietica, che nei confronti del mondo libero di cui l’America era una guida e lo è tuttora”.

La morte prematura di Kennedy ha contribuito certamente a crearne il ‘mito’, ma all’eredità kennediana si richiama oggi tutta la politica americana. Lo spiega da New York, Paolo Mastrolilli, inviato negli Usa del quotidiano “La Stampa”:

“Da una parte ci sono naturalmente i liberal, i democratici che dicono che Kennedy era un presidente liberal - nonostante poi fosse realista su molte questioni - e che soprattutto ha ispirato gli americani insegnando loro che il governo può essere utile alla soluzione dei problemi dei cittadini, in particolare dei cittadini più deboli. I repubblicani però cercano di rivendicarlo come un loro alleato. In sostanza dicono che in realtà Kennedy non era un liberal, ma era un conservatore e le cose più importanti che ha fatto sono state ad esempio la riduzione delle tasse...”

Anche Daniele De Luca, docente di storia delle relazioni internazionali all’università del Salento, sottolinea quello che ha accomunato Kennedy ad altri presidenti americani, dal punto di vista della politica estera:

“Kennedy vive in un momento di particolare durezza della Guerra Fredda, di confronto con l’Unione Sovietica. Non può fare passi indietro e quindi ha un atteggiamento di forte supporto alla politica di contenimento “trumaniana”, anzi, rafforzandola in alcuni punti. Come si comporta sul campo - nel caso di alcune crisi, la guerra del Vietnam o quella di Cuba - dimostra chiaramente che il presidente Kennedy è un presidente che non può fare un passo indietro perché questo serve alla protezione della sicurezza nazionale degli Stati Uniti e dei suoi alleati”.

Con riferimento anche alla crisi di Cuba, durante il convegno - moderato dai giornalisti di Radio Vaticana, Fausta Speranza, che è anche vicepresidente dell'Ucsi Lazio, e Alessandro Gisotti - è stato ricordato il ruolo svolto in quei giorni da Papa Giovanni XXIII con il messaggio-appello alla pace inviato ai leader di Usa e Russia, per poi ricordare la lettera scritta, nel settembre scorso, da Papa Francesco in occasione del summit del G20 dedicato alla crisi siriana con un ennesimo appello per evitare un conflitto internazionale. Oltre al cattolico e all’uomo politico va infine ricordato il Kennedy ‘comunicatore’. Una molteplicità di aspetti in cui anche chi non si è riconosciuto pienamente nella figura di JFK può trovare un lascito ancora valido. Del resto, ricorda il prof. Daniele De Luca, l’assassinio del presidente:

“…come è stato detto, è stato la morte dell’innocenza americana, cioè la morte di una possibile speranza”.

Ultimo aggiornamento: 22 novembre







All the contents on this site are copyrighted ©.