2013-11-20 07:38:09

Gruppo jihadista libanese rivendica l’attentato a Beirut: 23 i morti


E’ stato rivendicato da un gruppo jihadista libanese che si ritiene legato ad Al Qaida, le Brigate Abdullah Azzam, l’attentato di ieri mattina contro l’ambasciata iraniana a Beirut. Ventitre i morti, almeno 146 i feriti, per un attacco legato al coinvolgimento libanese nella guerra civile che sta devastando la vicina Siria. Unanime la condanna della comunità internazionale. Il servizio è di Salvatore Sabatino:RealAudioMP3

E’ come se Beirut fosse tornata, in un attimo, agli anni terribili della guerra civile. Palazzi sventrati, corpi senza vita stesi nelle strade, auto in fiamme. L’attacco dei due attentatori contro la sede diplomatica iraniana è stata potentissima: almeno 100 i chili di tritolo utilizzati. Tanto potente da danneggiare in maniera seria almeno 6 edifici. Un attentato avvenuto, non a caso, mentre nella vicina Siria le forze governative, sostenute da Teheran e dalle milizie alleate del movimento sciita libanese Hezbollah, intensifica l'offensiva contro i ribelli. Connessione evidente, ancor di più se si considera che la prima reazione arriva dalla tv di Stato di Damasco, che subito punta il dito contro l'Arabia Saudita e il Qatar. Da parte sua, il primo ministro libanese, Najib Miqati, ha levato un appello alla moderazione per tutte le fazioni del Paese, favorevoli o contrarie al regime di Damasco, a affermando che qualche potenza straniera ha voluto "usare il Paese dei Cedri come una cassetta delle lettere" per inviare un messaggio. Messaggio che ha fatto ripiombare il Libano nel terrore, e che ha provocato la durissima reazione della comunità internazionale, compatta nel condannare quanto accaduto.

Ed ascoltiamo, ora, il card. Béchara Boutros Raї, patriarca di Antiochia dei Maroniti, che oltre ad esprimere condanna e dolore per quanto avvenuto, fa un’analisi della situazione. L'intervista è di Giancarlo La Vella:RealAudioMP3

R. - Sappiamo che il contesto è sempre quello della guerra in Siria, dove Stati sunniti e Stati sciiti stanno combattendo attraverso siriani, mercenari, gruppi fondamentalisti. Poi, ci troviamo sempre anche nel contesto del famoso grande conflitto tra sunniti e sciiti nel mondo arabo mediorientale, conflitto che ha anche delle implicazioni internazionali. Quindi, c’è la partecipazione nella guerra in Siria di entrambe le parti.

D. - Qual è la via d’uscita, considerando che la comunità internazionale si sta comunque muovendo a livello diplomatico?

R. - Facciamo un nuovo appello affinché la Conferenza di pace “Ginevra 2” possa portare qualcosa di positivo. Noi vogliamo unire la nostra voce a quella del Santo Padre, per trovare una soluzione pacifica in Siria e anche in Iraq, e soprattutto per trovare una soluzione di intesa tra sunniti e sciiti, perché questo è alla base di tutti i problemi, oltre al problema del conflitto israelo-palestinese. Esprimiamo attraverso la Radio Vaticana la nostra condanna, ma anche il nostro auspicio rivolto alla comunità internazionale nel dire basta al fatto che della povera gente muoia tutti i giorni: sono vittime innocenti. Bisogna che le soluzioni diplomatiche prevalgano.

D. - Quando queste cose avvengono in Libano, la cosa è ancora più dolorosa perché il Paese è stato colpito da anni e anni di sanguinosa guerra civile…

R. - Il Libano purtroppo paga per tutti. Paga le conseguenze dell’interminabile conflitto israelo-palestinese, paga il grande conflitto regionale, ormai divenuto internazionale, tra sunniti e sciiti, paga le conseguenze della guerra in corso in Siria. Il Libano è diviso dal punto di vista politico; è bloccato. Non si riesce a formare un governo da sette mesi. Abbiamo 1 milione e mezzo di profughi siriani sul territorio libanese e mezzo milione di profughi palestinesi. Questo povero Libano, che rappresenta una porta aperta per tutti quanti, per l’intesa e la concordia, sta invece pagando per i conflitti di tutti gli altri. Anche in tal caso noi auspichiamo la mediazione dei Paesi amici, in particolar modo della Santa Sede, per salvare questo Paese, un Paese che tutti gli arabi descrivono come una necessità, una sorta di polmone. Però, nonostante questo, sta subendo gravi conseguenze.







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