Egitto: violenze contro i militari al Cairo e nel nord del Sinai
Nuove tensioni in Egitto. Quattro poliziotti sono rimasti feriti al Cairo per un ordigno
lanciato contro un posto di blocco militare. L’episodio più grave è accaduto però
nel nord della penisola del Sinai, dove almeno 10 soldati sono morti e altri 35 sono
rimasti feriti nell'esplosione di un'autobomba al passaggio del loro convoglio. L'attentato
è avvenuto sulla strada che collega Rafah, alla frontiera con la Striscia di Gaza,
e la città di el-Arish, capoluogo della provincia del nord del Sinai. Si tratta della
più sanguinosa azione nella zona da quando l'estremismo islamico ha lanciato una campagna
di violenze contro le autorità del Cairo, dopo la destituzione, l’estate scorsa, del
presidente Mohamed Morsi, uscito vincitore coi Fratelli Musulmani dalle elezioni del
2011. Da metà agosto, oltre duemila esponenti del movimento dell’ex presidente sono
stati arrestati dai militari con l’accusa di omicidio o incitamento alla violenza.
Gli attacchi sono dunque da ricollegare alla destituzione di Morsi? Risponde Maria
Grazia Enardu, docente di Storia delle relazioni internazionali all'Università
di Firenze, intervistata da Giada Aquilino:
R. – Questi
attacchi sono da collegare al lungo disordine egiziano, che è iniziato con la caduta
di Mubarak più di due anni fa, e si è aggravato con la presa di potere dei militari
dopo la destituzione di Morsi. In ogni caso, però, da tempo immemorabile il Sinai
è un’area di illegalità, scarsamente popolata e abitata da beduini, che sono sempre
stati trattati con scarsa considerazione dal governo centrale. Nel Sinai passa di
tutto: armi, droga, esseri umani e immigrazione illegale in direzione di Israele.
Ed è l’ambiente ideale, molto più delle grandi città dell’Egitto, per costituire o
rafforzare gruppi militanti. Pare che questo attacco, come altri condotti nel corso
di questi anni – molto grave è stato quello di metà agosto con ben 25 soldati uccisi
– sia riconducibile a un gruppo islamista che si chiama Ansar Bayt al-Maqdis – Bayt
al-Maqdis, "Casa del Tempio", è un riferimento a Gerusalemme – e che ha legami con
la Fratellanza islamica e ne riceve fondi. Non ha però collegamenti ufficiali, perché
la Fratellanza non vuole essere ricondotta a loro.
D. – Perché allora colpire
proprio i militari in questo momento?
R. – Perché i militari sono al potere
in Egitto. Useranno il loro potere, da una parte per stabilizzare il Paese e l’economia,
ma anche e soprattutto per rafforzare l’enorme macchina economica di cui dispone l’esercito
in Egitto. L’Egitto ha un’"industria” di militari, che controllano vastissimi settori
dell’economia. Da tutto questo sono esclusi – o si sentiranno ancora più esclusi –
gli strati più bassi della popolazione e il Sinai è proprio in fondo alla classifica.
D.
– Da questa estate, da una parte oltre duemila esponenti dei Fratelli musulmani sono
stati arrestati e dall’altra ci sono, nel Sinai, cento morti in una serie di attacchi
contro le forze di sicurezza. Dove va l’Egitto?
R. – L’Egitto, in senso continentale
africano, ha la sua strada ed è sicuramente una strada di stabilizzazione, perché
anche le masse più povere sanno che solo da un’economia migliore loro trarranno alcuni
vantaggi. Il Sinai, probabilmente, andrà per la sua strada. Una sorta di piccolo Vietnam,
che speriamo non raggiunga mai le dimensioni dell’altro esempio. Stabilizzare, però,
il Sinai non si può se non con misure straordinarie: un turismo che funzioni meravigliosamente
e i beduini che si sentano inclusi in questo benessere.