2013-11-19 14:30:07

Operazione Colomba nei Territori occupati: una presenza che sostiene scelte di nonviolenza


Prosegue in Cisgiordania l’impegno ormai decennale dei volontari di Operazione Colomba, il Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII. Dai 4 agli 8 i volontari che risiedono stabilmente in un piccolo villaggio di quel territorio e che, oltre alle attività quotidiane di sostegno alla popolazione locale hanno promosso, di recente, un incontro sul dialogo e la riconciliazione. Ma che cosa c’è alle origini di Operazione Colomba? Adriana Masotti lo ha chiesto a Marco Ramigni, responsabile del progetto in corso nei Territori occupati:RealAudioMP3

R. – Alle origini c’è una volontà, che nasce sicuramente dalla Comunità Papa Giovanni, di condividere la vita con gli ultimi. Operazione Colomba individua in questi ultimi le vittime dei conflitti armati. Nasce nel 1992 con la guerra in Jugoslavia.

D. – Come siete arrivati, invece, nei Territori Occupati?

R. – Siamo arrivati su richiesta della comunità locale e dal 2004 Operazione Colomba è nel villaggio di At-Tuwani, che si trova nelle colline a sud di Hebron, e quindi in territorio palestinese, però sotto controllo civile e militare israeliano. Poco distante dal villaggio si trovano due insediamenti israeliani, che sono abitati da coloni nazional-religiosi. Gli insediamenti sono in continua espansione e annettono terre dei vicini villaggi palestinesi. La cosa straordinaria è che i pastori delle colline a sud di Hebron hanno scelto di rispondere a queste violenze con metodi non violenti e si sono riuniti nel “Comitato popolare delle colline a sud di Hebron”. Questo comporta anche vedere al villaggio, per esempio, tanti israeliani che sostengono la causa di questi pastori. Per cui è facile, non so, vedere nel villaggio israeliani e palestinesi che mangiano assieme.

D. – Ogni anno voi organizzate localmente un workshop, un incontro, sui temi del dialogo e della non violenza…

R. – L’ambito in cui nasce il workshop è una richiesta degli stessi pastori palestinesi. Hanno fatto questa scelta non violenta e ci dicono: “Una volta all’anno, ci aiutate a nutrire questa non violenza?”. Quindi noi portiamo lì delle persone esterne che hanno avuto un’esperienza personale di dialogo e di riconciliazione. Quest’anno sono venuti due ospiti legati alla nostra storia italiana, agli Anni di Piombo. E’ venuta una persona che ha commesso delle violenze e il figlio di un vittima della violenza terroristica.

D. – Per dire che cosa?

R. – Per portare una testimonianza che ha attraversato, intanto, il profondissimo dolore personale ed è arrivata a raggiungere il dolore dell’altro. In particolare per chi ha partecipato ad un gruppo terroristico, si è trattato di una testimonianza di rottura col passato: il fatto di testimoniare che la lotta armata non è servita a cambiare il mondo in meglio. Mentre l’altra testimonianza è stata quella di combattere un odio lacerante e riuscirsi a spingere più in là, a protendersi con assoluto coraggio verso l’incontro e il confronto con chi aveva ucciso il proprio padre.

D. – Quali sono le altre attività e iniziative che i volontari di Operazione Colomba portano avanti nella quotidianità?

R. – Accompagnano i pastori palestinesi nelle loro terre, dove c’è il rischio di essere attaccati e il fatto che ci sia la presenza di volontari internazionali fa diminuire il livello di violenza. Dopodiché monitorano una scorta israeliana che accompagna a scuola dei bambini palestinesi: questi bambini palestinesi, in passato, erano stati attaccati dai coloni israeliani e noi controlliamo che la scorta faccia bene il suo lavoro. Monitoriamo poi tutte le situazioni dal punto di vista dei diritti umani e in più – dove è possibile – cerchiamo di mettere dei semi che magari in un futuro si potranno trasformare in un dialogo tra le parti.

D. – Che speranze avete che il vostro lavoro possa servire davvero a una pace futura?

R. – Abbiamo delle speranze concrete, perché vediamo nel piccolo dei segni di pace. Io ho ben presente quali siano le esigenze di questi pastori palestinesi che dicono: “Noi tutto quello che vogliamo è poter vivere in pace qua, poter coltivare le nostre terre”. Da parte israeliana è necessario prima un processo di riconoscimento verso i palestinesi. Gli israeliani che noi vediamo venire al villaggio, quando vengono, scoprono che quei palestinesi non sono dei nemici per loro. Ecco, prima di questo passaggio io vedo con fatica la possibilità di una pace duratura.







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