Con un discorso all'American
University di Washington, nel giugno del '63, il presidente USA John Fitzgerald Kennedy
offrì un inedito ramoscello di pace all'Unione sovietica, mostrando di voler chiudere
la guerra fredda. Ancora candidato alla presidenza, nel settembre del '60, JFK, aveva
invece spiegato a una platea di pastori protestanti perché da cattolico poteva diventare
presidente USA senza mettere in discussione l'indipendenza di Washington da Roma.
E lo aveva fatto con un discorso scritto da uno degli estensori della Dignitatis
Humanae, il testo del Concilio che afferma il valore della libertà religiosa,
contro confessionalismo e laicità. Sono aspetti poco noti della biografia del 35°
presidente degli Stati Uniti, ucciso 50 anni fa a Dallas dopo solo 34 mesi di presidenza
e - forse anche per questo - entrato nel mito come simbolo delle speranze un po' ingenue
degli anni sessanta."Per capire l'eredità che ci ha lasciato John Kennedy
abbiamo bisogno di tutto tranne che del suo mito", spiega il sociologo Luca Diotallevi.
"Il senso di realismo, un'idea diversa di sinistra che non mortifica le libertà e
la consapevolezza che i valori democratici occidentali possono essere condivisi con
la platea più ampia dell'umanità", questa è forse la vera eredità di JFK, spiega Diotallevi.
"Bisogna ammettere che - al contrario di quanto afferma il mito - le cose più
di sinistra le fece il suo successore Lyndon Johnson", aggiunge l'americanista Giuseppe
Mammarella. "E anche sulla guerra del Vietnam le responsabilità di John F.
Kennedy furono pesanti. Insomma, l'epoca kennedyana si chiude con la mortificazione
delle speranze che aveva suscitato. Il suo resta un profilo ambiguo che per essere
capito va liberato da un'ingombrante mitologia". (A cura di Fabio Colagrande e
Alessandro Gisotti)