Filippine: si mette in moto la macchina degli aiuti. Il presidente Aquino ammette
carenze nei primi soccorsi
Sembra andare a regime nelle Filippine il funzionamento della macchina dei soccorsi
per le popolazioni colpite dal tifone Haiyan. Diverse le aree dove è stato possibile
distribuire aiuti di prima necessità, anche se molte sono quelle non ancora raggiunte.
Nella zona disastrata si trova il presidente Benigno Aquino III, che ha ammesso le
carenze verificatesi nell’immediatezza della catastrofe. Ad oggi il bilancio ufficiale,
ancora provvisorio, delle vittime parla di quasi 4 mila morti e oltre 12 mila 500
feriti. "Aiuto alla Chiesa che soffre" ha stanziato la somma di 100 mila euro, affinchè
la locale Conferenza Episcopale possa provvedere a inviare aiuti agli sfollati. Sulle
difficoltà registratesi nelle operazioni di soccorso, Giancarlo La Vella ha
intervistato Marco Rotelli, segretario generale di Intersos, una delle
prime organizzazioni a intervenire nelle Filippine:
R. - Effettivamente
il congestionamento dell’arrivo degli aiuti ha creato una serie di problemi ed è una
cosa che purtroppo accade. In queste ore si sta comunque snellendo la situazione.
I nostri team sono ormai da tempo a Tacloban e nelle aree più colpite. Abbiamo identificato
in particolare delle aree a Sud particolarmente devastate dal passaggio del ciclone.
Ad oggi il problema è portare aiuto non solo nei grandi centri urbani, ma anche nelle
aree più remote ancora non toccate dall’aiuto, dove ci sono milioni di persone sfollate
e in assoluto bisogno di immediato aiuto.
D. - Ci sono esigenze particolari
a cui far fronte o si tratta di un intervento simile a tante altre catastrofi naturali
in cui siete intervenuti?
R. - Molte di queste catastrofi si assomigliano.
C’è da dire che in questo caso dove è passato il tifone c’è una distruzione che non
ha uguali, è maggiore rispetto a tante aree colpite anni fa... Il livello di devastazione
è totale: parliamo di oltre un milione di case distrutte, quattro milioni e più di
persone che non hanno più casa o che si stanno spostando - si tratta di sfollati interni
- e quasi 13 milioni di persone che, in un modo o nell’altro, direttamente, fisicamente
o indirettamente, attraverso la famiglia, sono state colpite dalla distruzione. La
situazione sta mettendo a dura prova l'azione delle organizzazioni umanitarie, ma
stiamo cercando di portare aiuto laddove ha più impatto.
D. - Come si sta organizzando
la vita dei sopravvissuti?
R. - Attraverso un ottimo coordinamento e anche
grazie alle istituzioni italiane. In particolare, grazie al ministero degli Affari
Esteri, siamo riusciti immediatamente a riempire dei cargo aerei e arrivare con alcuni
materiali necessari nel dopo-disastro: tende e lunghi rotoli di teloni di plastica,
che servono per costruire ripari di emergenza, ma anche piccole attrezzature per ridurre
l’impatto di eventuali epidemie; pensiamo, ad esempio, alle latrine. Sono stati mandati
kit medici in particolare per le dissenterie e le diarree acute, che in questi casi
sono estremamente pericolose proprio per la proliferazione di agenti patogeni. Verranno
inviati nei cargo successivi, altri materiali di prima necessità per permettere alle
persone che ricevono un riparo di avere anche qualcosa per sopravvivere; mi riferisco
a stoviglie, kit igienici, ecc.
R. - Nonostante la tragedia, arrivano numerose
notizie sul fatto che la popolazione filippina sta reagendo comunque in maniera positiva
a questo disastro…
D. - Sì, lo confermiamo. Abbiamo visto che la rete della
società civile, governativa e in particolare della Chiesa. Abbiamo rapporti con alcune
realtà religiose dell’area: sono estremamente rapide e molto collaborative nel permettere
alle organizzazioni più “tecniche” di mettere in campo la propria competenza, strumenti
e beni inviati. La popolazione, nonostante sia stata colpita in maniera così pesante,
è molto reattiva. Questo è il terreno sul quale far partire in futuro la ricostruzione
del Paese.