In Egitto, tornano in piazza i sostenitori di Morsi
I sostenitori del presidente deposto, Mohamed Morsi, e dei Fratelli Musulmani hanno
organizzato per oggi una nuova imponente manifestazione, denominata “protesta del
milione”. Si tratta, in particolare, di una manifestazione contro le condanne a 17
anni di carcere emanate ieri a 12 sostenitori dell'ex presidente che a ottobre avevano
preso parte a scontri di piazza presso l'Università di Al-Azhar al Cairo, legata al
mondo islamico sunnita. Il servizio di Amina Belkassem:
I sostenitori
di Mohamed Morsi hanno invaso ancora una volta le strade del Cairo e di altre città
dell’Egitto per reclamare la liberazione e il ritorno al potere dell’ex presidente,
il primo appartenente ai Fratelli musulmani. Al centro della protesta di ieri, anche
la condanna a 17 anni di carcere di 12 suoi sostenitori arrestati in ottobre. Almeno
10 mila persone hanno manifestato nella capitale, nel quartiere di Nasser City, nel
primo venerdì dopo la revoca dello stato d’emergenza introdotto lo scorso 14 agosto,
quando le proteste per la deposizione di Morsi si trasformarono in un bagno di sangue
con la morte di almeno 600 suoi sostenitori. Ieri, violenti scontri sono avvenuti
ad Alessandria dove un giovane è rimasto ucciso.
Ma cosa resta in Egitto
della primavera araba e del dopo Mubarak? Massimiliano Menichetti lo ha chiesto
a Pietro Batacchi, direttore della Rivista italiana difesa:
R. - L’Egitto
è oggi un Paese lacerato, diviso tra due poteri. Da una parte, il potere che ha un
radicamento nella società, che è quello della Fratellanza musulmana, che è l’unico
partito che è sempre esistito in Egitto, nonostante le repressioni e nonostante tutte
le vicissitudini nella storia del Paese. Dall’altra, il potere della classe militare,
che non ha una struttura di partito alle spalle, ma che ha un potere soprattutto di
natura economica e che quindi ha un potere in grado di ripercuotersi su vasti strati
della società, compresa l’assistenza sociale. Qui, nasce la grande frattura con la
Fratellanza musulmana che è andata in collisione, una volta eletta, con la classe
militare proprio sugli interessi economici.
D. - Cosa rimane, dunque, della
“primavera araba” egiziana, del dopo-Mubarak?
R. - Credo niente. Noi in Europa
e in Occidente abbiamo creduto e sperato che il mondo arabo si avviasse su una strada
di apertura, di inclusione, di democratizzazione: in realtà, non c’è rimasto più niente.
In diversi Paesi interessati dalla “primavera araba” si sono fermati i partiti islamici,
fondamentalisti. In Siria, dopo i primi mesi di genuina protesta contro il regime
di Assad, si è oggi in una guerra civile che è tra le più spaventose, per violenza,
del dopoguerra mondiale: per cui, la situazione mi pare assolutamente critica, drammatica
e in controtendenza rispetto a quelle che erano le aspettative e le aspirazioni della
“primavera araba”.
D. - Secondo molti osservatori internazionali, l’Egitto
dovrà decidere come risolvere questa fase di stallo. Eppure, in questo momento tutti
i vertici dei Fratelli musulmani sono stati rinviati a giudizio, compreso l’ex presidente
Morsi. Quanta possibilità di dialogo c’è?
R. - Ho la sensazione che in Egitto,
così come in altri Paesi del Nord Africa, da questa situazione non se ne esca in tempi
ragionevolmente brevi. Con tutto ciò che questo consegue per la sicurezza del Mediterraneo.
L’Egitto è solo un caso di instabilità del Nord Africa. Guardiamo alla Libia, guardiamo
alla Tunisia… Paradossalmente, i due Paesi che hanno retto un po’ meglio sono
l’Algeria e il Marocco. E questo ha delle ovvie ripercussioni sulla sicurezza del
nostro Paese e sulla sicurezza dei Paesi europei. Credo che dovremo abituarci a convivere
con questa situazione per molti mesi, se non anni, ancora.
D. - I ministri
degli Esteri e della Difesa di Russia ed Egitto si sono incontrati al Cairo e hanno
discusso in un vertice della crisi siriana. L’Egitto rimane, comunque, centrale per
quanto riguarda lo scacchiere internazionale?
R. - L’Egitto è uno dei Paesi
chiave del Medio Oriente, il maggiore Paese arabo e quindi fondamentale. E l’incontro
tra i due ministri è in un certo senso storico. Il riavvicinamento alla Russia è un
esito scontato per quella che è stata ed è la politica dell’amministrazione Obama,
che ha espresso nei confronti dell’attuale classe governativa egiziana delle riserve
riguardo alla sua legittimità, con la decisione di sospendere e limitare gli aiuti
militari. L’Egitto sembra ritornare alle vecchie forniture di armi da parte di Mosca,
alla vecchia garanzia di sicurezza da parte di Mosca, visto che sta perdendo quella
statunitense.
D. - Ma a fronte di una situazione di instabilità nel Maghreb,
il rinsaldarsi dei legami tra Egitto e Russia, con un conflitto aperto in Siria potrebbe
comportare di nuovo delle instabilità o, al contrario, crea stabilità?
R. -
La Russia, che ha consuetudine di rapporti internazionali di un certo tipo e con una
serie di Paesi anche nel Mediterraneo, è in realtà un fattore di stabilità. Un rientro
della Russia nel Mediterraneo può, in qualche misura, far comodo anche agli stessi
americani che - avendo spostato il proprio baricentro ormai sempre più verso il Pacifico
- hanno interesse a che un’altra grande potenza, in qualche misura, subentri per togliere
a loro il carico di alcune responsabilità di sicurezza.