Sud Sudan. Messaggio dei vescovi: "la guerra è finita, ora guardare avanti"
Porre fine a corruzione e nepotismo, favorire la trasparenza negli affari pubblici
e la riconciliazione tra i cittadini: sono alcuni delle priorità indicate alle autorità
di Juba dai vescovi del Sud Sudan, riunitisi nella capitale in vista della conclusione
dell’Anno della fede, dichiarato dal Papa emerito Benedetto XVI nell’ottobre 2012.
Dopo aver ricordato che “c’è molto da celebrare e per cui essere grati, nella Repubblica
del Sud Sudan”, i prelati - riferisce l'agenzia Misna - sottolineano che “la costruzione
di una nazione non è un compito semplice” e che “pur essendo coscienti delle urgenze
diverse con cui i leader si trovano a fare i conti” i vescovi consigliano di fissare
“un numero limitato di obiettivi da raggiungere, assicurandosi che vengano perseguiti,
piuttosto che disperdere le proprie forze cercando di fare tutto, correndo il rischio
di non ottenere niente. È tempo di riconoscere che il Sud Sudan non è più una nazione
in guerra – ammettono – e che se anche ci sono ancora numerose emergenze che che necessitano
una risposta umanitaria, il grosso degli sforzi, anche economici, dovrebbero concentrarsi
verso lo sviluppo a lungo termine e la sostenibilità, che include l’istruzione delle
nuove generazioni”. Tra le sfide che il Paese si trova ad affrontare e che destano
ancora “preoccupazione” tra i religiosi, quella delle ribellioni armate, in particolare
nella regione di Jonglei: “Invitiamo i cittadini ad essere orgogliosi delle loro origini
e culture tribali ma a non lasciarsi trascinare nel tribalismo che contrappone un
gruppo ad un altro” affermano i vescovi, chiedendo “di resistere alla “tentazione
della violenza”. Riguardo ai rapporti col vicino Sudan, i vescovi si congratulano
dell’accordo che ha consentito di recente, di riprendere le esportazioni di petrolio
“portando sollievo economico alle popolazioni di entrambi i Paesi”, ma si dicono rattristati
dalla “mancanza di progressi in altre aree, come quella relativa alla demarcazione
dei confini”. Su Abyei, quindi, i vescovi dicono di “capire la frustrazione della
comunità Dinka Ngok” che ha organizzato un referendum per l’autodeterminazione non
riconosciuto a livello politico e internazionale “e pregano perché le loro aspirazioni
vengano riconosciute” e la pace “torni in quell’area problematica”. Nel completare
il quadro del Paese, a due anni e mezzo dall’indipendenza, i vescovi del Sud Sudan
ricordano che la minaccia dei ribelli dell’Esercito di Resistenza del Signore (Lra)
esiste ancora, e si sicono “costernati” dalla notizia di un nuovo attacco a Ezo, nella
regione medidionale dell’Eastern Equatoria “dopo un periodo in cui i cittadini avevano
cominciato a riprendersi dalle loro devastazioni”. Le conclusioni del lungo messaggio
sono per la “riconciliazione nazionale e la cura delle ferite”. Entrambe, osservano
i vescovi – incoraggiati dalle tante iniziative e dalla nasciata del Comintato per
la pace e la riconciliazione creato dal presidente Salva Kiir – “devono essere assoluta
priorità per il governo sud sudanese”. (R.P.)