2013-11-15 15:00:31

Siria. Solidarietà della Chiesa di Aleppo. Mons. Jeanbart: non facciamo distinzioni di credo


La rimozione di ogni agente chimico dagli impianti della Siria dovrà essere completata entro il 5 febbraio 2014, quella dei gas tossici entro il prossimo 31 dicembre. E' quanto previsto nella bozza del piano di distruzione dell'arsenale di Damasco, che viene sottoposta oggi all’approvazione del Consiglio esecutivo dell'Opac, l'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche. Procedono al contempo i tentativi di mediazione internazionale per arrivare alla conferenza di pace "Ginevra 2": una delegazione del governo siriano sarà a Mosca lunedì prossimo, mentre la Coalizione nazionale siriana, principale raggruppamento delle forze di opposizione al regime di Bashar al-Assad, non ha ancora deciso se prenderà parte ai colloqui preliminari nella capitale russa. Sul terreno, però, non si fermano le armi: un bombardamento delle forze siriane ha ucciso un comandate ribelle ad Aleppo. Nella città della Siria settentrionale, più volte teatro di violenze e attentati, la Chiesa cattolica è in prima linea nell’aiuto alla popolazione colpita dalla guerra. Ce ne parla mons. Jean-Clément Jeanbart, arcivescovo greco-melkita di Aleppo, intervistato da Giada Aquilino:RealAudioMP3

R. – La situazione qui è terribile, perché siamo stati assediati da diverso tempo. Gli ultimi due mesi sono stati molto difficili, stando sotto la mira dei mortai e dei proiettili. Anche le strade, che portavano alle altre città, sono state chiuse. Non è stato possibile ricevere viveri, ma anche combustibile e altri materiali. La Chiesa è da 18 mesi che fa un grande sforzo per gli aiuti, con generi di prima necessità, assistenza finanziaria e medica, aiuti scolastici, accoglienza nelle case.

D. – Avete deciso di destinare una parte degli aiuti ai padri di famiglia: perché?

R. – Sono quelli più vulnerabili e più colpiti dalla situazione. Sono senza lavoro e senza risparmi. Alcuni si occupavano di piccolo artigianato, ma quest’attività non funziona più. Tanti hanno bisogno di aiuto per andare avanti con le loro piccole e grandi famiglie, con due o tre bambini. E assistiamo non solo i giovani padri, ma anche quelli di età media.

D. – Poi, avete anche progetti a favore dei più piccoli, dei bambini, per l’educazione...

R. – Sì, per l’educazione abbiamo preso la decisione di aprire le nostre scuole. Nella nostra chiesa greco-cattolica, melkita, abbiamo quattro scuole e due istituti aperti per accogliere tutti gli alunni. Abbiamo fatto in modo di sollevare le famiglie, aiutandole e creando delle borse di studio per 500 bambini e giovani.

D. – Quindi, è un’accoglienza senza distinzione di religione?

R. – Sì, senza distinzione di comunità, di appartenenza ad un rito, ma anche senza distinzione di religione. Quando si presenta un caso di un musulmano o di diversi musulmani che hanno bisogno, li aiutiamo.

D. – Date anche ospitalità alle famiglie musulmane?

R. – Sì, abbiamo accolto circa 35 famiglie musulmane in una delle nostre scuole, in uno dei nostri conventi, ma anche in diverse case messe a disposizione.

D. – Come, con questo impegno, cercate di infondere speranza nella popolazione?

R. – Questa azione è un’azione di urgenza, è un nostro dovere, è carità cristiana. Ci preme di andare avanti con questi aiuti. Allo stesso tempo, però, proviamo a mandare avanti un discorso di speranza e un discorso di responsabilità apostolica e responsabilità verso la nostra storia. Vogliamo rimanere in questo Paese, anche se alcuni pensano che non sia il caso che i cristiani rimangano. Alcuni Stati aiutano tanta gente ad andare avanti nel loro progetto di emigrazione: non ci piace affatto, perché alla fine quando verrà la pace – e la vediamo vicina – staranno meglio a casa loro, nel loro Paese. Noi inoltre abbiamo una missione, una responsabilità davanti alla Chiesa e al Signore di testimoniare in questa parte del mondo la Sua risurrezione e la Sua salvezza.

D. – Quale può essere l’appello della Chiesa ai cristiani a rimanere in Siria, affinché non succeda quello che è successo poi recentemente anche in Iraq?

R. – Facciamo tutto quello che possiamo. Chiamiamo tutti a ritornare alla fede profonda in Gesù Cristo e nella Sua provvidenza. Lo dico molto sinceramente: è un discorso davvero difficile in questa situazione, con le bombe che cadono su di noi e sui nostri fratelli. Qui, adesso, poco fa, una bomba è caduta vicinissima. Ieri, un mortaio è caduto davanti la cattedrale e non è esploso per provvidenza. Due giorni fa, nella mia camera da letto, è arrivato un proiettile che ha fatto molti danni, ma grazie a Dio ero nel mio ufficio. Per dire che quello che ci capita, qui nell’arcivescovado, capita anche alla gente in città. Cerco sempre di trovare motivi per sperare. Quello che il Papa è riuscito a fare per fermare l’attacco alla Siria è stato per noi come una porta aperta, per poter parlare di speranza e di una soluzione pacifica, anche in vista di "Ginevra 2": ci permette davvero di sperare in un Paese migliore di oggi e migliore di quello che era prima.







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